La propagazione del Covid-19 in Cina e, ora, anche nel territorio nazionale ha provocato inevitabilmente delle ripercussioni negative per il business, sia domestico che internazionale. Molte imprese, infatti, stanno affrontando i rischi connessi all’impossibilità per i propri fornitori di approvvigionarsi di beni e servizi da paesi colpiti e da economie rallentate a causa dell’emergenza sanitaria che sta modificando i processi di supply chain e mettendo le aziende di fronte a potenziali effetti domino portandole a loro volta nella condizione di non poter adempiere alle obbligazioni assunte a valle del processo produttivo. Il problema risulta trasversale a tutti i settori dell’economia, primario, secondario e terziario; ne sia esempio la difficoltà per l’agricoltura di approvvigionarsi di prodotti di base, quali fertilizzanti e macchinari, per l’industria il rifornimento delle materie prime dai mercati emergenti e per il turismo, le limitazioni alla circolazione delle persone, con il rallentamento dell’economia che ne sta conseguendo.
Inoltre, a seguito delle recenti misure restrittive disposte dai governi, in primis quello cinese ma anche quello italiano, per contenere la diffusione del Coronavirus, si paventa il rischio di compromettere la regolare esecuzione e il corretto adempimento dei contratti e, dunque, si ipotizza un possibile aumento dei casi di “inadempimento” o “sopravvenuta impossibilità della prestazione” per coloro che hanno assunto obbligazioni commerciali rese oggi più difficilmente attuabili delle misure di contenimento dell’epidemia.
A tal proposito, l’art. 1218 c.c. dispone che se il debitore non esegue esattamente la prestazione dovuta o tiene un comportamento incompatibile con la successiva attuazione della stessa, è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento – o il ritardo nell’esecuzione delle obbligazioni – è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. In quest’ultimo caso, infatti, l’obbligazione si estingue, ai sensi dell’art. 1256 c.c., che prevede anche che in caso di impossibilità temporanea, il debitore non sia responsabile del ritardo dell’adempimento, finché la stessa perdura.
A questo proposito, è opportuno mettere in luce che, in tema di misure restrittive rese necessarie per limitare la diffusione del coronavirus, sarà opportuno considerare la durata dell’epidemia e delle misure amministrative recentemente promulgate dal governo, ai fini di valutare l’eventuale estinzione dell’obbligazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1256 c.c.; vale notare che il debitore sarà tenuto ad eseguire la prestazione nel momento in cui la causa dell’impossibilità dovesse cessare, indipendentemente da un suo diverso interesse economico.
Con riferimento ai contratti a prestazioni corrispettive, inoltre, gli effetti dell’impossibilità sopravvenuta sono disciplinati dagli artt. 1463 e ss. c.c., secondo cui la parte che si trova nell’impossibilità di adempiere non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella già eventualmente ricevuta. Sul punto, pare opportuno precisare che per “impossibilità” sopravvenuta si intende una situazione, come potrebbe essere quella attuale, nella quale il debitore non possa eseguire quanto previsto dal contratto con gli sforzi da lui concretamente esigibili per ragioni non prevedibili al momento del sorgere del rapporto obbligatorio. Potrebbe avverarsi, dunque, il caso di cui all’art. 1463 c.c., ossia la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta.
Altra ipotesi distinta da quella dell’impossibilità sopravvenuta è quella in cui si verifica un’alterazione dell’equilibrio dello scambio delineato dalle parti per l’accadimento di fatti straordinari ed imprevedibili, che rendono la prestazione di uno dei contraenti particolarmente gravosa. In questa ipotesi, si configura l’eccessiva onerosità sopravvenuta, la quale determina – laddove le parti non trovassero un nuovo accordo per riportare ad equilibrio le condizioni contrattuali – la risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1467 c.c., qualora dovesse sopraggiungere, a carico di un contraente, un aggravio patrimoniale che non rientra nella normale alea contrattuale.
È verosimile che l’attuale situazione renda gravoso l’espletamento delle obbligazioni e che quindi, a prescindere dall’estensione e dalla durata dell’emergenza, si siano già verificate le condizioni per valutare l’opportunità del riequilibrio dei rapporti contrattuali domestici e cross-border, soprattutto se parte dell’adempimento implichi l’approvvigionamento – o l’esecuzione – di beni e/o servizi da stati particolarmente colpiti quali la Cina.
Occorre, inoltre, osservare che le norme relative alla responsabilità dell’inadempimento e all’impossibilità sopravvenuta devono coordinarsi con altre regole presenti nel Codice Civile e, in particolare, con quelle in tema di diligenza e buona fede. L’uso strumentale delle disposizioni di legge per far fronte ad emergenze quali quella nella quale oggi versiamo a causa del Covid – 19, potrebbe prestare il fianco a censure ed essere fonte di responsabilità.
Tra le cause che il debitore può invocare per dimostrare la non imputabilità dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, rientrano le ipotesi di caso fortuito e forza maggiore, ossia quelle legate a un fatto naturale, come può essere un’epidemia o al factum principis, quali i provvedimenti del governo.
Occorre notare che la recente giurisprudenza di legittimità ha affermato come, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto alla propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non possa invocare l’impossibilità sopravvenuta con riferimento ad un ordine o ad un divieto dell’autorità amministrativa, qualora questo fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza del caso (inter alia: Cass., 08 giugno 2018, n.14915 e Cass., 10 giugno 2016, n.11914).
Per quanto concerne la forza maggiore, sembra opportuno segnalare che tale concetto risulta essere preso in considerazione anche dall’art. 7.1.7. dei principi Unidroit per i contratti commerciali internazionali, il quale, analogamente a quanto disposto dal diritto italiano, statuisce quanto segue: “Non-performance by a party is excused if that party proves that the nonperformance was due to an impediment beyond its control and that it could not reasonably be expected to have taken the impediment into account at the time of the conclusion of the contract or to have avoided or overcome it or its consequences”.
Alla luce delle considerazioni svolte, risulta evidente che, per quanto riguarda la propagazione del Coronavirus e dei suoi effetti sul piano giuridico ed economico, la configurazione delle ipotesi di impossibilità sopravvenuta, eccessiva onerosità sopravvenuta e forza maggiore e factum principis deve essere valutata in considerazione dello specifico caso concreto, probabilmente rimodulando i rapporti contrattuali in ragione delle condizioni in atto, usando la prudenza necessaria per evitare l’abusivo esercizio di diritti che potrebbe aggiungere nocumento al danno causato dal ritardato o mancato adempimento delle obbligazioni assunte.