A cura di Gianluigi Baroni, Francesca Tironi, Giulia Spalazzi e Valentina Panettella
Nella notte, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha firmato il DPCM 8 marzo 2020 che definisce le nuove misure nazionali di contenimento dell’emergenza Covid-19.
Il DPCM individua alcune aree del Centro-Nord (in particolare l’intera Lombardia e le province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio-Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia), in cui vengono imposte stringenti limitazioni («Zona Rossa»).
Ma altrettante restrizioni, di carattere preventivo, sono introdotte sull’intero territorio dello Stato Italiano. Le disposizioni di cui al DPCM 8 marzo hanno effetto immediato e sono valide sino al 3 aprile 2020 compreso, «salvo diverse disposizioni».
Come deve agire il datore di lavoro?
Con riferimento alla Zona Rossa, l’art. 1, comma 1, lett. e) del DPCM 8 marzo, raccomanda ai datori di lavoro (sia pubblici che privati) di promuovere, per tutta la durata del periodo di efficacia del decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie, ferma restando qualora sia possibile l’adozione delle modalità di lavoro agile.
Nel caso in cui, invece, non sia possibile adottare lo smartworking, è suggeribile che il datore di lavoro rilasci ai lavoratori una certificazione attestante la necessità che la prestazione lavorativa venga resa presso la sede aziendale, indicando che in assenza potrebbe esservi pregiudizio per la necessaria continuità produttiva (o organizzativa) aziendale.
È inoltre previsto che nello svolgimento di riunioni debbano essere adottate, in tutti i casi possibili, modalità di collegamento da remoto.
Ove ciò non sia possibile, dovrà essere in ogni caso garantito il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, evitando altresì assembramenti.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. r), su tutto il territorio nazionale la modalità di lavoro agile, disciplinata dagli artt. da 18 a 23 della l. 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali e per tutta la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020 (i.e. sino al 31 luglio 2020).
Gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017 n. 81 possono essere assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro.
Inoltre, qualora sia possibile, si raccomanda ai datori di lavoro dell’intero territorio nazionale di favorire la fruizione di periodi di congedo ordinario o di ferie, ex art. 2, comma 2, lett. s).
Tali misure si affiancano a quanto disposto dal recente D.L. n. 9/20 che, in ambito giuslavoristico, ha previsto l’introduzione di procedure semplificate per presentare istanza di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria («CIGO») o assegno ordinario per sospensione o riduzione dell’attività lavorativa; l’ammissione della presentazione della domanda di cassa integrazione ordinaria o di cassa integrazione salariale in deroga nonché il riconoscimento a determinate categorie di lavoratori di un’indennità mensile.
Sul punto, deve tuttavia rilevarsi che ai sensi del comma terzo dell’art. 5 del DPCM 8 marzo è espressamente previsto che, dalla data di efficacia delle disposizioni del decreto, cessano di produrre effetti i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 1° e 4 marzo 2020.
Sul punto, deve rilevarsi che il D.L. 9/2020, nell’individuare – all’art. 13 – le aree geografiche presso cui sono collocate le unità locali con riferimento alle quali è possibile, per i datori di lavoro, avanzare domanda di CIGO e FIS per sospensione o riduzione della attività lavorativa, faceva espressamente riferimento al DPCM 1° marzo 2020.
Resta, pertanto, da capire come il Governo intenderà procedere relativamente al tema della CIGO e della FIS per le aziende collocate nella originaria “zona rossa” che, ad oggi, non è venuta meno ma si è, al contrario, notevolmente estesa.
Il Decreto, inoltre, non chiarisce i temi operativi di accesso ai predetti istituti, e al riguardo bisognerà pertanto attendere le istruzioni dell’INPS.
In aggiunta a quanto sopra, il DPCM 8 marzo 2020 prevede, altresì, ulteriori misure che saranno destinate a produrre effetti anche sui rapporti di lavoro. Tra queste, in particolare, la riduzione della mobilità nelle individuate aree del Centro-Nord Italia.
Nelle predette zone del Centro-Nord viene, infatti, apposto un vincolo teso alla limitazione degli spostamenti sul territorio. Si richiede, infatti, di evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita non solo dalla nuova Zona Rossa, ma anche all’interno della stessa, salvo comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È, tuttavia, consentito il rientro presso il proprio domicilio o residenza. Le forze di polizia saranno legittimate a chiedere conto ai cittadini dei loro spostamenti.
Ai soggetti con sintomatologie sospette, quali infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5 °C), è fortemente raccomandato di rimanere presso la propria abitazione, limitando i rapporti sociali.
Vige, invece, il divieto assoluto di mobilità dalla propria dimora per coloro i quali siano sottoposti alla misura della quarantena ovvero siano risultati positivi al virus.
Con una nota esplicativa al DPCM 8 marzo, il Ministero degli Esteri ha infine precisato che le predette limitazioni non vietano gli spostamenti per comprovati motivi di lavoro dei lavoratori transfrontalieri che – purché non siano soggetti a quarantena o risultati positivi al virus – potranno entrare e uscire dai territori interessati per raggiungere il posto di lavoro e tornare a casa, potendo comprovare il motivo lavorativo dello spostamento con qualsiasi mezzo, inclusa una dichiarazione che potrà essere resa alle forze di polizia in caso di eventuali controlli.
Al pari, anche le merci potranno entrare ed uscire dai territori interessati, essendo il loro trasporto considerato come un’esigenza lavorativa: il personale che conduce i mezzi di trasporto potrà, quindi, entrare e uscire dai territori interessati e spostarsi all’interno degli stessi, purché limitatamente alle esigenze di consegna o prelievo delle merci.
Il monitoraggio del rispetto delle predette misure è in capo al prefetto territorialmente competente il quale, ove occorra, potrà avvalersi delle forze di polizia. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto degli obblighi previsti dal DPCM 8 marzo è punito ai sensi dell’art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità – condotta punita, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro).
Così come il D.L. n. 9/2020, anche l’odierno Decreto si colloca in un quadro normativo in continua evoluzione. Le disposizioni introdotte mirano principalmente a contenere la diffusione del contagio e ad evitare, conseguentemente, il sovraccarico delle strutture ospedaliere.