A cura di Carlo Romano e Maurizio Foti
L’emergenza epidemiologica da COVID-19 e in particolare l’inarrestabile aumento dei soggetti positivi al virus, ha spinto il Governo ad alzare il livello di allerta.
Pertanto, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 9 marzo 2020, sono state estese a tutto il territorio nazionale le misure urgenti introdotte dall’art. 1 del DPCM 8 marzo 2020 (tra le quali, la più limitativa è quella che induce ad evitare ogni spostamento in entrata e in uscita dai territori colpiti dal virus, nonché all’interno di ciascun territorio, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità, da motivi di salute e salvo consentire, in ogni caso, il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza). Inoltre con il medesimo DPCM è stata vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico, oltre alla sospensione di tutti gli eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina.
1. Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità
Al fine di far rispettare tali misure, il cui compito è demandato al Prefetto territorialmente competente, l’art. 4 del DPCM 8 marzo stabilisce che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale.
In particolare, trattasi di un reato di natura contravvenzionale – per la cui commissione è quindi sufficiente la mera colpa – che punisce chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o d’igiene, con la pena dell’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato.
Tale sanzione è la medesima prevista dalle varie ordinanze con cui alcune Regioni del centro-sud Italia – preso atto dell’afflusso in entrata delle persone dalle aree del nord Italia più colpite dall’epidemia e, quindi, del concreto rischio di un ingresso incontrollato di potenziali soggetti positivi al virus – hanno introdotto, a loro volta, altre misure volte a fronteggiare l’emergenza sanitaria (quale, ad esempio, l’obbligo di comunicare l’ingresso in territorio regionale e di osservare la permanenza domiciliare) e la cui violazione è sanzionata proprio ai sensi dell’art. 650 del codice penale.
2. Il reato di falsa attestazione o dichiarazione
Alla luce di quanto disposto dagli ultimi DPCM lo spostamento all’interno del territorio nazionale nonché all’interno delle singole regioni è ammesso soltanto in casi eccezionali, quali: le comprovate esigenze lavorative, le situazioni di necessità, i motivi di salute o il rientro presso il domicilio o la residenza.
Tali circostanze devono essere attestate dal singolo, attraverso una apposita autodichiarazione.
Pertanto, una eventuale dichiarazione mendace è punibile ai sensi dell’art. 495 c.p. che prevede la pena della reclusione fino a sei anni.
3. Il reato di epidemia
Secondo l’accezione accreditata dalla scienza medica per epidemia si intende ogni malattia infettiva o contagiosa suscettibile, per la propagazione dei suoi germi patogeni, di una rapida ed imponente manifestazione in un medesimo contesto e in un dato territorio colpendo un numero di persone tale da destare un notevole allarme sociale e un correlativo pericolo per un numero
indeterminato di individui. Secondo una nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione gli «elementi connotanti il reato di epidemia sono … la sua diffusività incontrollabile all’interno di un numero rilevante di soggetti…il carattere contagioso e diffuso del morbo, la durata cronologicamente limitata del fenomeno, poiché altrimenti si verserebbe in endemia» (Cass. sez. U, n. 576 del 11/01/2008).
Tale reato è previsto dall’art. 438 del codice penale che punisce con la pena dell’ergastolo chiunque cagioni, in modo doloso, una epidemia mediante la diffusione di germi patogeni.
Il medesimo codice prevede anche l’ipotesi colposa di epidemia che rientra nell’ambito dei “delitti colposi contro la salute pubblica” di cui all’art. 452 c.p il quale punisce, con la reclusione fino a dodici anni, le ipotesi di diffusione epidemica imputabili ad ipotesi di negligenza, imprudenza o imperizia (i.e. colpa).
E’ proprio ipotizzando la configurabilità del reato di epidemia colposa che alcune Procure della Repubblica, nel condurre degli accertamenti sulle procedure adottate in alcuni ospedali per prevenire il contagio del virus in questione, hanno aperto delle inchieste a carico di ignoti.
Non è pertanto escluso che un tale reato possa configurarsi anche in altre ipotesi frutto delle abitudini di vita di ciascun individuo: si pensi, ad esempio, al caso in cui un cittadino che, nonostante essere risultato positivo al virus (pur se in modo asintomatico), mette a rischio la salute pubblica incontrando altre persone in completa violazione della misura cautelare della quarantena prevista dal DPCM.