A cura di Alessandro Catona, Carlo Romano, Rocco Mottolese, Roberto Colatorti
Il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 recante misure straordinarie di sostegno economico alle famiglie, imprese e lavoratori per far fronte all’emergenza epidemiologica «COVID-19» (c.d. «Decreto Cura Italia»), contiene, tra le altre, misure a sostegno della liquidità delle imprese attraverso il sistema bancario.
Di notevole interesse, segnaliamo l’art. 55 del Decreto Cura Italia che sostituisce integralmente l’art. 44-bis del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58. La disposizione normativa abrogata e sostituita con l’intervento in esame, prevedeva un meccanismo incentivante le aggregazioni tra imprese con sede nel sud Italia consistente nella trasformazione in credito di imposta delle imposte anticipate relative a taluni componenti negativi e posizioni fiscali soggettive.
Una prima significativa differenza con la disposizione normativa sostituita riguarda senza ombra di dubbio l’eliminazione del vincolo territoriale: difatti rispetto alla vecchia normativa il nuovo articolo è applicabile in tutto il territorio nazionale. Con il nuovo art. 44-bis, si introduce la possibilità di trasformare in credito d’imposta una quota di attività per imposte anticipate (DTA) riferite a determinati componenti, per un ammontare proporzionale al valore dei crediti nei confronti di debitori inadempimenti che vengono ceduti a terzi. I crediti deteriorati oggetto dell’incentivo possono essere sia di natura commerciale sia di finanziamento. La disposizione, sebbene applicabile a tutte le società operanti nei vari settori produttivi, è rivolta principalmente alle banche e agli altri intermediari finanziari.
La disposizione in commento è volta a incentivare la cessione di crediti deteriorati che le imprese hanno accumulato negli ultimi anni, anche per effetto della crisi finanziaria, con l’obiettivo di sostenerle sotto il profilo della liquidità nel fronteggiare l’attuale contesto di incertezza economica.
In linea con la precedente disposizione, la disposizione non si applica alle società per le quali sia stato accertato lo stato di dissesto o il rischio di dissesto ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, ovvero lo stato di insolvenza.
In particolare, per le società che effettuano entro il 31 dicembre 2020 cessioni di crediti vantati nei confronti di debitori inadempienti, la disposizione introduce la possibilità di trasformare in credito d’imposta una quota di DTA riferite a: i) perdite fiscali riportabili non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile ai sensi dell’articolo 84 del TUIR, e ii) eccedenze ACE che alla data della cessione dei crediti non siano stati ancora computati in diminuzione, usufruiti o dedotti dal reddito imponibile.
Per quanto riguarda la definizione di debitore inadempiente si stabilisce che si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per oltre novanta giorni dalla data in cui era dovuto. La norma in esame non si applica alle cessioni di crediti tra società che sono legate tra loro da rapporti di controllo ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile e alle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.
La quota massima di DTA trasformabili in credito d’imposta è determinata in funzione dell’ammontare massimo di componenti cui esse si riferiscono. A tal fine, viene posto un limite ai componenti che possono generare DTA trasformabili, pari al 20% del valore nominale dei crediti ceduti. Allo stesso tempo, è posto un limite di 2 miliardi di euro di valore nominale ai crediti complessivamente ceduti entro il 31 dicembre 2020 che rilevano ai fini della trasformazione. Per i soggetti appartenenti a gruppi, il limite si intende calcolato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate da soggetti appartenenti allo stesso gruppo. Pertanto, con riferimento ai gruppi bancari il beneficio massimo ottenibile dall’applicazione della norma ammonterebbe a 110 milioni di euro.
Un esempio per chiarire meglio il punto. Se una società cede crediti deteriorati per 1 miliardo di euro, potrà trasformare in credito d’imposta al massimo una quota di DTA riferibile a 200 milioni di euro di componenti indicati dalla norma (perdite fiscali e/o eccedenza ACE riportabili), equivalente – supponendo che l’aliquota IRES sia quella ordinaria al 24% – a 48 milioni di euro.
La trasformazione in credito d’imposta può avere luogo anche se le DTA non sono state iscritte in bilancio, ad esempio per mancato superamento del probability test, purché siano riferibili ai componenti indicati dalla norma, non ancora dedotti o usufruiti alla data della cessione dei crediti.
La trasformazione avviene alla data della cessione dei crediti. A decorrere dalla data di efficacia della cessione dei crediti il cedente non potrà più portare in compensazione dei redditi le perdite, né dedurre o usufruire tramite credito d’imposta l’eccedenza ACE, corrispondenti alla quota di DTA trasformabili in credito d’imposta ai sensi della disposizione in esame.
I crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione sono di fatto un cash equivalent: possono essere utilizzati, senza limiti di importo, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o ceduti secondo quanto previsto dall’articolo 43-bis o dall’articolo 43-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, o chiesti a rimborso. Inoltre, gli stessi, per espressa previsione normativa, non sono produttivi di interessi. I crediti d’imposta in esame vanno indicati nella dichiarazione dei redditi e non concorrono alla formazione del reddito di impresa né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive.
Le società che vogliono procedere alla trasformazione di DTA in credito d’imposta ai sensi della disposizione in esame, devono esercitare l’opzione di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119 (c.d. canone di garanzia DTA). L’opzione, se non già esercitata, deve essere esercitata entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti ed è efficace a partire dall’esercizio successivo a quello in cui ha effetto la cessione.
Oltre ai benefici in termini di trasformazione in credito di imposta di un asset illiquido quale le DTA, la norma in oggetto determina anche un ulteriore beneficio in termini di adeguatezza patrimoniale degli istituti di credito. Di fatti, per effetto della trasformabilità alcuni istituti potranno: i) contabilizzare per la prima volta DTA/crediti di imposta (la rappresentazione contabile dipenderà dalla data di efficacia della cessione) oppure, ii) trasformare DTA in crediti di imposta con evidenti vantaggi in termini di requisiti patrimoniali.
Sebbene la norma sia nella propria costruzione abbastanza semplice, appare complessa nell’interpretazione. Difatti, sin dalla prima lettura affiorano una serie, non esaustiva, di dubbi:
- Tra le cessioni oggetto della norma possono rientrare anche quelle effettuate prima dell’entrata in vigore del Decreto?
- Come si dovranno comportare le società che hanno optato per il regime del consolidato fiscale?
- Per efficacia della cessione si deve fare riferimento a criteri giuridico/formali o sostanziali/IAS?
- Con quali criteri dovrà essere utilizzato il plafond di 2 miliardi di euro in caso di più cessioni effettuate all’interno del gruppo?
- Il beneficio spetta solamente a chi ha originato il credito o anche in relazione a cessioni successive (pensiamo alle società che gestiscono crediti non performing)?
La ratio della norma induce a pensare ad una interpretazione estensiva della stessa. Tuttavia, sarà sicuramente necessario che i predetti dubbi (che riteniamo essere solo i principali) vengano celermente dipanati dall’Amministrazione Finanziaria pena ridurre i potenziali benefici previsti dal Legislatore.
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