Controversie fiscali nella UE: pubblicato il decreto legislativo di recepimento della direttiva

A cura di Carlo Romano, Daniele Conti, Giulia Faustini e Flavia Guglielmi

Ieri è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto legislativo n. 49/2020 (di seguito anche «decreto») con cui viene data attuazione alla direttiva (UE) 2017/1852 (di seguito anche «direttiva»), rubricata «sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell’Unione europea», che disciplina le controversie fiscali derivanti dall’interpretazione e applicazione delle convenzioni contro la doppia imposizione.

Quali sono le principali novità in materia di risoluzione delle controversie fiscali nell’Unione europea?

Rispetto al preesistente impianto normativo in materia la direttiva ha esteso il campo di applicazione delle procedure amichevoli, prevedendo due rilevanti innovazioni:

  1. a differenza delle convenzioni contro la doppia imposizione concluse dall’Italia, la possibilità per il contribuente di avvalersi di una fase arbitrale da attivare mediante ricorso ad una Commissione consultiva, qualora non sia stato raggiunto un accordo tra le autorità competenti, garantendo tempi certi nell’interpretazione e applicazione delle convenzioni stesse;
  2. rispetto alla Convenzione arbitrale europea (n. 90/436/CEE), l’ampliamento del campo di applicazione della procedura, non più limitata alla materia dei prezzi di trasferimento e alla attribuzione di utili alle stabili organizzazioni, e dunque riguardante – in principio – le fattispecie coperte dalle convenzioni contro le doppie imposizioni (pur con un particolare focus sui casi di doppia tassazione internazionale). Tale ultima novità consente, quindi, la presentazione di apposite istanze anche alle persone fisiche e alle imprese estranee a gruppi multinazionali.

Quali sono i punti essenziali della nuova procedura di risoluzione delle controversie?

Come previsto dall’articolo 3 del decreto, i soggetti interessati possono presentare, entro tre anni dalla data di notifica dell’atto impositivo, un’istanza di apertura di procedura amichevole all’Agenzia delle entrate (di seguito anche «Agenzia») e all’Autorità competente degli altri Stati membri interessati.

Un’importante novità in questo senso è rappresentata dalla possibilità di presentare l’istanza in questione, da un lato, anche laddove siano pendenti procedure amministrative tributarie che comportano la definitività dell’imposta (es. dopo la conclusione di un accertamento con adesione) e, dall’altro, senza la preventiva instaurazione di una procedura contenziosa a livello nazionale.

Laddove necessario, l’Agenzia può procedere ad una richiesta di informazioni supplementari, e, eventualmente, decidere di risolvere la questione controversa in modo unilaterale (senza, cioè, il coinvolgimento della corrispondente Autorità fiscale estera). In caso contrario, viene adottata una decisione in merito all’accoglimento o al rigetto dell’istanza entro 6 mesi dalla sua ricezione. Tra le motivazioni di un possibile diniego, è possibile annoverare la mancanza delle informazioni necessarie, l’assenza di una questione controversa, la non tempestività dell’istanza ovvero l’esistenza di una sentenza passata in giudicato o di una decisione a seguito di conciliazione.

In caso di accoglimento, le autorità competenti degli Stati membri interessati e l’Agenzia si adoperano per risolvere la questione controversa entro due anni (termine prorogabile)dalla data dell’ultima notifica della decisione di accoglimento dell’istanza da parte di uno degli Stati membri.

Che cosa è la Commissione consultiva e come funziona la «fase arbitrale»?

In caso di rigetto dell’istanza, i soggetti interessati possono impugnare dinanzi la commissione tributaria il relativo provvedimento (come già chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le ordinanze nn. 12759 e 12760 del 19 giugno 2015). A maggior ragione, l’attivazione del giudizio appare l’unica strada percorribile nel caso in cui il rigetto provenga da tutte le autorità competenti degli Stati interessati.

Qualora, invece, il rigetto provenga solo da una o da alcune delle autorità competenti coinvolte, il soggetto interessato può richiedere l’avvio della fase arbitrale. Analogamente, ciò avviene nel caso in cui l’istanza di avvio delle procedure sia stata accolta, ma le autorità competenti non siano pervenute ad un accordo entro il termine di due anni sopra menzionato.

La fase arbitrale si apre con l’istituzione di una Commissione consultiva (composta da un presidente, un rappresentante dell’autorità competente ed una personalità indipendente per ogni Stato membro interessato) espressamente richiesta dal soggetto interessato, che, contestualmente, deve dichiarare la rinuncia ad impugnazioni pendenti o future.

La Commissione consultiva (la cui istituzione deve essere richiesta entro cinquanta giorni dalla notifica del diniego all’accesso alla procedura amichevole o dell’informativa sul mancato raggiungimento dell’accordo entro i termini) deve essere, poi, essere insediata entro i successivi centoventi giorni. In luogo della menzionata Commissione consultiva le Autorità competenti possono istituire una commissione per la risoluzione alternativa delle controversie.

Se la Commissione consultiva non è istituita nei termini (o non sono designate le personalità indipendenti), sono previsti specifici mezzi di ricorso in giudizio, a seconda dei casi. Per l’Italia è competente alla nomina della Commissione consultiva (o delle personalità indipendenti non designate dal lato italiano) la Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Cosa succede dopo l’accordo amichevole o quando si chiude la fase arbitrale?

L’art. 19 del decreto prevede il rimborso di indebiti o sgravi da parte dell’Agenzia, qualora dall’esecuzione degli accordi amichevoli e delle decisioni arbitrali finali derivi una variazione del reddito imponibile o dell’imposta. Se la pretesa erariale è completamente annullata, il decreto dispone, altresì, il rimborso delle sanzioni, previa istanza dell’interessato.

Inoltre, al fine di consentire l’esecuzione di tali accordi o decisioni, il decreto stabilisce il raddoppio del termine di decadenza dall’accertamento (ossia, dieci o quattordici anni a seconda della presentazione della dichiarazione in Italia nel periodo di imposta oggetto di controversia).

Quali strumenti ha a disposizione il contribuente se l’accordo amichevole o la decisione arbitrale resta inadempiuto?

È importante sottolineare che nel caso di mancata esecuzione da parte dell’Agenzia della decisione adottata, il soggetto interessato può avviare la procedura per l’ottemperanza prevista per le sentenze tributarie (art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992). Tuttavia, la decisione arbitrale non può essere eseguita con tali mezzi qualora il Presidente della Commissione tributaria regionale del Lazio accerti che una delle personalità indipendenti nominate non possedeva, al momento della nomina o della decisione, i necessari requisiti di indipendenza.

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