Regione Basilicata: la Corte Costituzionale boccia alcune previsioni normative in materia di autorizzazione di impianti da fonti rinnovabili

A cura di Energy Team

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 106 dell’8 aprile 2020, pubblicata lo scorso 5 giugno, ha dichiarato illegittime alcune previsioni normative della Legge Regionale della Basilicata n. 4 del 13 marzo 2019, in materia di autorizzazione di impianti da fonti rinnovabili.

Valga sin da subito precisare che tutti gli articoli censurati nel ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri erano già stati abrogati dalla stessa Regione Basilicata con la Legge 6 novembre 2019, n. 22. Ciò nonostante, la Consulta ha deciso di esaminare comunque le censure della Presidenza del Consiglio, non potendo escludere che tali disposizioni, che sono state in vigore per più di sei mesi, abbiano avuto medio tempore applicazione.

Le norme della Legge Regionale della Basilicata n. 4 del 13 marzo 2019 dichiarate incostituzionali sono:

  • gli articoli 9 e 10, i quali indicavano, fra i requisiti di sicurezza inderogabili per l’avvio dell’iter di autorizzazione alla realizzazione di impianti eolici, il rispetto di distanze minime fra tali impianti, le abitazioni e le strade comunali. La Consulta ha ritenuto tali norme illegittime in quanto non prevedono una previa istruttoria, quindi un’adeguata e concreta valutazione dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti, ponendosi così in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dal Legislatore statale, in particolare quello di derivazione europea della massima diffusione degli impianti da fonti rinnovabili;
  • l’articolo 12, che prevedeva la possibile proroga del termine per la presentazione della documentazione prevista dal  Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale – PIEAR – ai fini dell’autorizzazione regionale su istanza dell’interessato e solo quando il ritardo sia dovuto a motivi indipendenti dalla volontà di quest’ultimo, per un periodo massimo di 60 giorni. La Consulta nota che già il Codice dell’ambiente (ossia il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) consente tale sospensione, peraltro di 180 giorni, seppur nella fase antecedente alla convocazione della Conferenza di Servizi e non anche in quella successiva. In tale contesto, una ulteriore proroga, qual è quella stabilita dal Legislatore regionale, deve ritenersi costituzionalmente illegittima in quanto finisce con l’aggiungere un ulteriore e irragionevole anello alla già lunga catena di adempimenti previsti dal Legislatore statale, determinando un aggravamento del procedimento autorizzativo;
  • l’articolo 13, comma 3, che stabiliva, nelle more dell’adozione della nuova pianificazione energetica ambientale regionale, ai fini del rilascio dell’Autorizzazione Unica, un tetto alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Tale norma contraddice quanto stabilito al paragrafo 14.5. delle Linee guida nazionali (ossia il D.M. 10 settembre 2010), attribuendo al superamento del tetto l’effetto di precludere l’avvio o di sospendere la conclusione di procedimenti preordinati al rilascio di nuove autorizzazioni.

Da tale pronuncia possono trarsi due spunti di riflessione interessanti e favorevoli per gli operatori economici interessati alla realizzazione di un impianto alimentato da fonti rinnovabili.

Il primo spunto di riflessione riguarda la precisazione svolta dalla Consulta in merito al divieto, gravante in capo alle Regioni e già affermato in precedenti pronunce, di porre “limiti generali inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea» (Corte Cost., 23 dicembre 2019, n. 286). Secondo la Corte, le Regioni (e le Province autonome) possono infatti senz’altro individuare aree e siti non idonei alla localizzazione degli impianti, ma devono farlo caso per caso e comunque nel rispetto di specifici principi e criteri – di natura tecnico-oggettiva e soggettiva – stabiliti dal paragrafo 17.1 dell’Allegato 3 delle Linee guida. Sempre secondo la Corte, in ossequio al dettato della disposizione appena citata, il giudizio sulla non idoneità dell’area deve essere espresso dalle Regioni all’esito di un’istruttoria, “volta a prendere in considerazione tutti gli interessi coinvolti (la tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale), la cui protezione risulti incompatibile con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti (sentenza n. 86 del 2019, punto 2.8.2. del Considerato in diritto). Una tale valutazione può e deve utilmente avvenire nel procedimento amministrativo, la cui struttura «rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241» (sentenza n. 69 del 2018)”.

Da quanto sopra ne consegue che il principio che ribadisce nuovamente la Consulta è che le amministrazioni competenti non possono respingere ab origine un progetto di impianto alimentato da fonti rinnovabili prescindendo da un’istruttoria accurata che consenta di valutare caso per caso il singolo progetto e consideri tutti gli interessi sopra indicati.

Si tratta, come è evidente, di una statuizione che rafforza decisamente il contenuto della disposizione contenuta nelle Linee Guida nazionali e, quindi, garantisce all’operatore economico interessato sia il rispetto del principio di certezza del diritto sia l’assenza di qualsivoglia compressione del proprio diritto di libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41 della Costituzione, dovendo necessariamente procedersi con una valutazione ponderata da parte delle pubbliche amministrazioni di tutti gli interessi in gioco (risultando illegittimi i divieti legislativi regionali che sembrano vietare la realizzazione di progetti). Ciò significa, pertanto, che un eventuale provvedimento di rigetto di una domanda di autorizzazione per la realizzazione di un progetto di impianto alimentato da fonti rinnovabili non potrà fondarsi sull’esistenza di una generica norma regionale che vieta ictu oculi la realizzazione del progetto stesso, ma dovrà essere dettagliatamente motivato dalla pubblica amministrazione di competenza, dimostrando che è stata svolta una istruttoria accurata e bilanciata di tutti gli interessi, pena la potenziale illegittimità del medesimo provvedimento di diniego. 

Il secondo spunto di riflessione riguarda l’ultimo punto dell’elenco di cui sopra. Al riguardo, la Consulta ha avuto la premura di chiarire, in particolare, che la violazione causata dal citato effetto preclusivo non potrebbe in alcun modo essere superata strumentalizzando il richiamo all’art. 3, comma 6, del D.M. 15 marzo 2012, con cui le Regioni sono state autorizzate a porre «limiti massimi alla produzione di energia per singola fonte rinnovabile in misura non inferiore a 1,5 volte gli obiettivi previsti nei rispettivi strumenti di pianificazione energetica per la medesima fonte». Secondo la Corte Costituzionale, tale previsione costituisce infatti un mero corollario della facoltà di identificare aree non idonee alla realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, riconosciuta alle Regioni dalle stesse Linee guida nazionali, al paragrafo 17.2, nella prospettiva della conciliazione delle «politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili». Con «atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing)», le Regioni possono, infatti, individuare aree non idonee per motivi di tutela paesaggistica o ambientale. Tale individuazione, a differenza di quanto fatto dal Legislatore lucano «nelle more della adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione», deve sempre essere basata su apposite istruttorie e verifiche puntuali e concrete.

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