Dichiarato incostituzionale il regime delle tutele crescenti per i licenziamenti con vizi formali o procedurali

A cura di Francesca Tironi, Lorenzo Zanotti e Valentina Panettella

Con comunicato stampa del 25 giugno 2020, la Corte Costituzionale ha reso noto che l’articolo 4, D. Lgs. n. 23/2015, è stato ritenuto incostituzionale nella parte in cui, con riferimento alla determinazione dell’indennità da corrispondere al lavoratore nel caso di licenziamento affetto da vizi formali e procedurali, prevede che la stessa debba essere “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”.

Tale criterio, caratterizzato da un sistema di calcolo rigido e automatico, si basa esclusivamente sul parametro dell’anzianità di servizio, prevedendo, di fatto, una misura risarcitoria uniforme e indipendente dalle peculiarità e dalle diversità della fattispecie concreta.

Sebbene le motivazioni della sentenza saranno depositate solo nelle prossime settimane, la pronuncia in esame pare ripercorrere quanto già statuito dalla Consulta nella sentenza n. 194/2018, con riferimento all’articolo 3, comma 1, del D. Lgs. n. 23/2015.

In detta occasione, il meccanismo di quantificazione dell’indennità, pressocché speculare a quello previsto dall’art. 4, D. Lgs. n. 23/2015, era stato ritenuto incostituzionale poiché inidoneo a soggettivizzare l’entità del danno subito dal lavoratore, assumendo pertanto i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata”.

Anche la censura in commento, del resto, potrebbe trovare ragione proprio nella esigenza di personalizzazione del danno, imposta dal principio di eguaglianza secondo il quale è necessario “trattare in modo uguale, situazioni uguali e in modo diverso, situazioni diverse”.

Sotto questo profilo, è quindi lecito attendersi che, in linea con quanto già statuito dalla Corte Costituzionale nella sentenza sopra citata, anche con riferimento ai recessi viziati sotto il profilo formale e/o procedurale verrà data maggiore discrezionalità al giudice, il quale sarà chiamato a determinare, di volta in volta, l’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, da individuarsi entro il limite minimo (due mensilità di retribuzione) e massimo (dodici mensilità di retribuzione) previsto dall’art. 4, D. Lgs. n. 23/2015. A tal fine, non potrà che tenersi conto, oltre che dell’anzianità aziendale del dipendente licenziato, dei tradizionali parametri dettati dalla disciplina limitativa dei licenziamenti, tra cui il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’attività economica, e il comportamento e le condizioni delle parti.

Un criterio rigido e automatico, che determini un’ingiustificata omologazione di situazioni diverse, non può, infatti, trovare cittadinanza in un sistema risarcitorio fondato, viceversa, sul riconoscimento di un adeguato ristoro parametrato valorizzando l’effettivo vulnus subito dal danneggiato.

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