La Cassazione stabilisce che il cessionario/committente che riceva una fattura imponibile, anziché non imponibile, esente o esclusa da imposta, non può detrarre l’imposta
A cura di Davide Accorsi e Paola Bramato
Con la recente sentenza della Corte di Cassazione è stata chiarita la portata applicativa dell’art. 6, comma 6, secondo paragrafo, del d.lgs. n. 471/1997, introdotto dalla Legge n. 205/2017.
La norma in commento attribuisce al cessionario/committente il diritto a portare in detrazione l’IVA applicata in eccesso dal cedente/prestatore, con irrogazione di una sanzione fissa da 250 euro a 10.000 euro.
Più precisamente, è ammessa la detrazione, con irrogazione della menzionata sanzione fissa, quando:
- l’imposta, erroneamente applicata in misura superiore alla effettiva, è stata assolta dal cedente/prestatore, e
- si è in assenza di un contesto di frode fiscale.
Sin dalla sua entrata in vigore, la suddetta norma è stata oggetto di interpretazioni discordanti.
Infatti, al concetto di “IVA applicata in misura superiore alla effettiva” si potrebbero astrattamente ricondurre sia le ipotesi in cui il cedente/prestatore abbia applicato un’aliquota superiore a quella corretta, sia le ipotesi in cui egli abbia applicato l’imposta a fronte di operazioni esenti, non imponibili o escluse da imposta.
Tuttavia, mentre è sempre stata pacifica l’applicabilità della norma in caso di aliquota superiore, altrettanto non può dirsi per i casi di erronea qualificazione di operazioni non imponibili, esenti o escluse da imposta.
In particolare, a favore della ammissibilità della detrazione con sanzione fissa con riferimento a quest’ultima ipotesi si era espressa la circolare della Guardia di Finanza 13.4.2018, n. 114153, e la circolare Assonime 31.5.2018, n. 12.
Al contrario, la giurisprudenza di merito aveva negato la detrazione per operazioni esenti, qualificate come imponibili dal cedente/fornitore (C.T. Prov. Milano 3.12.2018, n. 5497/10/18, C.T. II grado Trento 28.2.2019, n. 20/1/19), nonché per quelle escluse, qualificate come imponibili dal cedente/fornitore (C.T. Reg. Milano 13.9.2019, n. 3483/21/19).
In continuità con la giurisprudenza di merito, la recente sentenza della Cassazione n. 24289 del 3.11.2020, con specifico riferimento alle operazioni non imponibili, ha ristretto l’ambito di applicazione dell’art. 6, comma 6, secondo paragrafo, del d.lgs. n. 471/1997, sulla base del tenore letterale della disposizione.
Pertanto, come chiarito della Corte, la menzionata disposizione si applica unicamente all’ipotesi in cui, a seguito di un’operazione imponibile, l’IVA sia stata erroneamente corrisposta sulla base di un’aliquota maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta.
Nei casi di erronea qualificazione di un’operazione imponibile come operazione non imponibile, esente o esclusa da imposta, il cessionario/committente non può portare in detrazione l’imposta addebitatagli in via di rivalsa. In caso di erronea detrazione, egli sarebbe passibile della sanzione amministrativa pari al 90% dell’ammontare della detrazione compiuta.
Ne consegue che l’unico rimedio concesso al cessionario/committente, che versi al cedente/fornitore l’imposta erroneamente applicata (invece della non imponibilità, esenzione o esclusione), sia la ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., da esercitarsi, entro il termine di prescrizione decennale in sede civile, nei confronti del cedente/prestatore. In alternativa, nel caso quest’ultima azione risulti impossibile o eccessivamente difficile (per esempio nel caso di insolvenza del cedente/prestatore), in linea con quanto previsto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il cessionario/committente potrebbe agire per il rimborso direttamente nei confronti dell’autorità tributaria (si vedano le sentenze C-35/05 (Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH) e C-427/10 (Banca Antoniana Popolare Veneta)).
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