I rapporti tra un’associazione autonoma di persone e membri di un gruppo IVA

Analisi della sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-77/19 (Kaplan International Colleges UK)

A cura di Alessia Zanatto, Paolo Galfano e Giorgio Beretta

Con la sentenza nella causa C-77/19 (Kaplan International Colleges UK) dello scorso 18 novembre 2020, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito anche “Corte UE” o “Corte di Giustizia”) ha chiarito il perimetro applicativo dell’esenzione IVA prevista per le prestazioni rese da un’associazione autonoma di persone nei confronti dei propri membri, ove alcuni di essi partecipino ad un gruppo IVA.

L’art. 132, par. 1, lett. f), della Direttiva 2006/112/CE (di seguito anche “Direttiva”) prevede l’esenzione IVA per “le prestazioni di servizi effettuate da associazioni autonome di persone che esercitano un’attività esente o per la quale non hanno la qualità di soggetti passivi, al fine di rendere ai loro membri i servizi direttamente necessari all’esercizio di tale attività, quando tali associazioni si limitino ad esigere dai loro membri l’esatto rimborso della parte delle spese comuni loro spettante, a condizione che questa esenzione non possa provocare distorsioni della concorrenza”. Detta disposizione, così come interpretata dalla Corte di Giustizia (si vedano le sentenze rese nelle cause C‑605/15, C-616/15 e C-326/15), sarebbe applicabile solo ai soggetti che svolgono attività di interesse pubblico.

L’esenzione in parola è stata recepita nell’ordinamento nazionale dall’art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, il quale prevede che siano esenti dall’imposta “le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dei consorziati o soci da consorzi, ivi comprese le società consortili e le società cooperative con funzioni consortili, costituiti tra soggetti per i quali, nel triennio solare precedente, la percentuale di detrazione di cui all’articolo 19-bis, anche per effetto dell’opzione di cui all’articolo 36-bis, sia stata non superiore al 10 per cento, a condizione che i corrispettivi dovuti dai consorziati o soci ai predetti consorzi e società non superino i costi imputabili alle prestazioni stesse”.

La normativa nazionale, tuttavia, al contrario della normativa euro-unitaria, non fa alcun riferimento allo svolgimento di un’attività di interesse pubblico da parte dei membri dell’associazione (l’Agenzia delle Entrate, in passato, ha esplicitamente confermato l’applicabilità della suddetta norma di esenzione ai servizi resi da società consortili nei confronti di propri consorziati che svolgono servizi finanziari ed assicurativi esenti). Tale circostanza ha sollevato profili di incompatibilità della normativa IVA domestica rispetto alla corrispondente disciplina UE. Tuttavia, in attesa degli sviluppi in merito alla riforma europea sul trattamento IVA dei servizi finanziari, il legislatore italiano non ha ancora apportato alcuna modifica alla normativa domestica vigente. Peraltro, alla luce del divieto del c.d. “reverse direct effect”, lo Stato italiano non potrebbe far valere direttamente le sopra richiamate sentenze nei confronti dei soggetti passivi italiani).

Il gruppo IVA è, invece, un istituto disciplinato dall’art. 11 della medesima Direttiva, ove è stabilito che “ogni Stato membro può considerare come un unico soggetto passivo le persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi”. L’Italia si è avvalsa di tale facoltà e la possibilità per i soggetti passivi stabiliti nel territorio nazionale di costituire un gruppo IVA è prevista e disciplinata dagli artt. 70-bis e ss. del d.P.R. n. 633/1972, nonché dal relativo decreto attuativo del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 6 aprile 2018.

La questione oggetto della pronuncia della Corte UE concerne il rapporto tra le norme sopra richiamate; in particolare, è stato chiesto ai giudici euro-unitari se e a quali condizioni l’esenzione IVA di cui all’art. 132, par. 1, lett. f), della Direttiva 2006/112/CE possa applicarsi nel caso in cui i membri di un’associazione autonoma di persone siano altresì membri di un gruppo IVA.

La risposta della Corte di Giustizia al quesito di cui sopra è piuttosto articolata. Da un lato, infatti, i giudici lussemburghesi evidenziano che la formulazione dell’art. 132, par. 1, lett. f) della Direttiva 2006/112/CE di per sé non esclude l’operatività dell’esenzione in parola rispetto a prestazioni rese a membri dell’associazione autonoma che partecipino anche ad un gruppo IVA. Dall’altro lato, tuttavia, la Corte UE ritiene che, stante l’interpretazione restrittiva cui le norme sulle esenzioni IVA sono soggette, la formazione di un gruppo IVA non può comportare surrettiziamente l’estensione dell’applicazione di detta esenzione a prestazioni di servizi fornite a persone che non siano altresì membri dell’associazione autonoma di persone.

Ebbene, l’assimilazione del gruppo IVA ad un soggetto passivo unico esclude che i membri di tale gruppo possano essere considerati soggetti passivi autonomi ai fini di tale imposta. Ne consegue che le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto terzo ad un membro del gruppo IVA devono essere considerate come effettuate a favore non di tale membro, ma dell’intero gruppo IVA (i giudici richiamano sul punto i principi affermati con la sentenza nella causa C-7/13, Skandia America (USA), filial Sverige). Secondo la Corte UE, anche un’associazione autonoma di persone – quale soggetto terzo non partecipante ad un gruppo IVA – soggiace a tali principi con riferimento alle prestazioni effettuate nei confronti di membri di tale associazione autonoma che aderiscano altresì ad un gruppo IVA.

La conclusione cui la Corte UE giunge a fronte del proprio ragionamento è che unicamente laddove tutti i membri del gruppo IVA siano altresì parte dell’associazione autonoma di persone – che rimane invece soggetto esterno al gruppo IVA medesimo – l’esenzione di cui all’art. 132 potrà trovare applicazione (ferme restando le ulteriori condizioni ivi prescritte).

Sul punto, si rileva che la fattispecie su cui si è pronunciata la Corte UE è stata recentemente oggetto di specifica regolamentazione nel nostro ordinamento da parte del legislatore nazionale, il quale ha introdotto i commi 3-bis e 3-ter all’art. 70-quinquies del d.P.R. n. 633/1972.

In breve, la disciplina nazionale (introdotta con una norma di interpretazione autentica) consentirebbe, al ricorrere dei requisiti previsti dall’art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, l’applicazione dell’esenzione IVA ai servizi resi da un consorzio (rectius associazione autonoma di persone, società consortili e simili) nei confronti di un consorziato che sia membro di un gruppo IVA a cui detto consorzio non partecipa, a condizione che il requisito secondo cui il committente, nel corso del triennio solare precedente, abbia avuto una percentuale di detrazione non superiore al 10% risulti soddisfatto in base ad una percentuale determinata: (i) in capo al consorziato, per ognuno degli anni antecedenti all’opzione per il gruppo IVA compresi nel triennio di riferimento; (ii) in capo al gruppo IVA, per ognuno degli anni di validità dell’opzione per il gruppo IVA compresi nel triennio di riferimento.

Dall’analisi della suddetta normativa emerge che, nell’ordinamento italiano, la partecipazione di tutti i membri del gruppo IVA all’associazione autonoma di persone non sia previsto come un requisito per l’applicabilità dell’esenzione in parola. La pronuncia della Corte di Giustizia nel caso in esame solleva, quindi, profili di incompatibilità della normativa IVA domestica recentemente introdotta rispetto alla corrispondente disciplina prevista a livello euro-unitario, così come interpretata dalla Corte UE.

Ciò premesso, per effetto del divieto del c.d. “reverse direct effect”, lo Stato italiano non potrebbe far valere l’efficacia di una sentenza della Corte di Giustizia in presenza di una normativa nazionale non compatibile con la Direttiva. Pertanto, la sentenza della Corte di Giustizia non dovrebbe avere effetti sul passato. Pro futuro, la normativa nazionale dovrebbe invece essere modificata per tenere conto dei suddetti principi.

Infine, si rileva che la Corte UE non si è, invece, pronunciata, lasciando, pertanto, tale tematica in sospeso, sull’altra questione oggetto di rinvio pregiudiziale, ossia se l’esenzione di cui all’art. 132, par. 1, lett. f), della Direttiva 2006/112/CE si applichi anche a livello transazionale e comprenda anche associazioni autonome di persone situate in Paesi non-UE (nel caso in rassegna, Hong Kong). La questione era stata affrontata lungamente e risolta in senso negativo dall’Avvocato Generale Kokott nelle proprie conclusioni (in conformità, peraltro, all’opinione espressa dello stesso Avvocato Generale nelle cause C-605/15 Aviva, punti 36 e ss. e C-326/15 DNB Banka, punti 45 e ss.). Invero, la questione circa la rilevanza territoriale dell’esenzione in commento si era posta anche in altre sedi, senza tuttavia giungere ad una posizione definitiva sul punto (si vedano, in particolare, i Working Papers del Comitato IVA n. 856 e n. 883 del 2015).

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