A cura di Nicola Broggi ed Edgardo Gagliardi
Con la risposta all’interpello 565/2020, l’agenzia delle entrate torna a pronunciarsi sui piani di incentivazione del management basati sull’attribuzione di azioni o strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati (c.d., strumenti di carried interest).
In particolare, il quesito sottoposto all’agenzia verte sulla qualificazione reddituale da attribuire ai proventi derivanti dal possesso o dalla cessione di specifiche classi di azioni (c.d., sweet equity e ordinary– di seguito anche singolarmente “Azioni C” e “Ordinarie” e, collettivamente, le “Azioni”) emesse da una società Lussemburghese (di seguito anche l’ “Emittente”) e sottoscritta da un dipendente Italiano, con qualifica di manager, di una società Italiana appartenente al medesimo gruppo dell’Emittente.
Per quanto di rilevanza ai nostri fini, le principali caratteristiche delle Azioni possono essere così sintetizzate:
- le Azioni non attribuiscono diritti amministrativi;
- le Azioni attribuiscono il diritto a ricevere il dividendo solo successivamente al rimborso della leva finanziaria;
- le Azioni attribuiscono il diritto a ricevere un rendimento più che proporzionale (rispetto alla percentuale di partecipazione che esse rappresentano nel capitale sociale dell’Emittente) solo al verificarsi di alcuni eventi di liquidità come definiti dal piano (i.e., quotazione, vendita a terzi o liquidazione dell’Emittente). Tuttavia, il diritto delle Azioni a ricevere il summenzionato rendimento più che proporzionale è subordinato alla circostanza che i detentori delle altre classi di azioni emesse dall’Emittente (i.e., preference shares e Ordinarie) abbiano percepito il rimborso del capitale investito ed un rendimento minimo (c.d., hurdle rate).
- le Azioni “non possono essere liberamente trasferite, né date in pegno, né vincolate”. Tuttavia, subito prima tale affermazione, si legge anche che “Il piano di incentivazione non prevede l’obbligo per i partecipanti di detenere le quote per un periodo minimo quinquennale (cosiddetto holding period), e, di fatto, consente ai partecipanti la possibilità di “uscire” dal Gruppo, e dunque dal Piano in qualsiasi momento”. Le due affermazioni, se interpretate alla lettera, sembrerebbero in contraddizione.
- nel caso in cui il manager cessi di essere dipendente di una società del gruppo, lo stesso sarà obbligato a trasferire le Azioni ai soggetti individuati dal consiglio di amministrazione (di seguito anche “CdA”) dell’Emittente. Il prezzo a cui le Azioni dovranno essere trasferite sarà sempre determinato dal CdA sentito l’Amministratore Delegato sulla base di un principio di ragionevolezza e buona fede (“reasonably and in good faith“) tenendo, altresì, in considerazione la circostanza che il manager sia qualificato come Good Leaver o Bad Leaver. In particolare, nel caso di Good Leaver, al manager spetterà un corrispettivo pari al fair value delle Azioni da lui detenute nell’Emittente in proporzione al numero di anni di detenzione delle stesse; nel caso di Bad Leaver, il prezzo corrisposto al manager sarà sempre pari al minore tra il costo di acquisizione e il fair value.
La soluzione interpretativa prospettata dal contribuente era di considerare i proventi derivanti dalle Azioni quali redditi di natura finanziaria (tassabili nella misura del 26%), benché alcune delle condizioni previste dall’articolo 60 del D.L. 60/2017 (di seguito anche “Norma sul Carried Interest”) non fossero rispettate. Come noto la Norma sul Carried Interest prevede che i proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio percepiti da dipendenti e amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati, si considerano in ogni caso (prevedendo quindi una presunzione assoluta) redditi di capitale o redditi diversi qualora:
- l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori di cui al presente comma, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1 per cento dell’investimento complessivo effettuato dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti (di seguito anche “Requisito dell’1%”);
- i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell’investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo (di seguito anche “Requisito dell’hurde rate”);
- le azioni, le quote o gli strumenti finanziari sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione (di seguito anche “Requisito dell’holding period”).
È inoltre previsto che le suddette disposizioni si applicano ai proventi derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo del risparmio, società o enti residenti o istituiti nel territorio dello Stato ed a quelli residenti ed istituiti in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni.
L’agenzia delle entrate, disattendendo la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente, conclude che i proventi derivanti dal possesso e/o dalla cessione delle Azioni dovranno essere assoggettati alla normale tassazione IRPEF prevista per i redditi da lavoro dipendente.
L’agenzia delle entrate sembra fondare la propria conclusione principalmente sulle seguenti caratteristiche del piano:
- la circostanza che le Azioni non possono essere mantenute dal manager nel caso di interruzione del rapporto di lavoro ma che lo stesso abbia un obbligo di trasferimento delle Azioni.
- La circostanza che, nel caso di Good Leaver, il prezzo di cessione sia determinato su base discrezionale e non ancorato a criteri oggettivi.
- La circostanza che, nel caso di Good Leaver, al manager venga riconosciuto il pagamento delle Azioni al fair value per una percentuale di Azioni via via crescente in funzione degli anni di detenzione delle stesse. In particolare, “la previsione di questo meccanismo crescente e progressivo, che garantisce un ritorno più favorevole dell’investimento ancorato al decorrere del tempo, porta a ritenere che la relativa remunerazione sia legata alla prestazione lavorativa svolta nel tempo”.
Data la natura del presente scritto, non è possibile soffermarsi sui diversi profili di criticità che potrebbero emergere da questo interpello (anche perché una analisi più attenta meriterebbe una lettura più meditata del documento in commento). Tuttavia, è possibile comunque delineare alcuni spunti di riflessione:
- nulla questio sulla circostanza sub 2. Una determinazione discrezionale del fair market value (di seguito anche “FMV”) poco (o nulla) si confà ad una qualifica del reddito rinveniente dalle Azioni quale “rendita finanziaria”. In effetti, è prassi, in circostanze simili, che la documentazione del piano preveda la nomina di un perito per la determinazione del FMV;
- La circostanza sub 3è da interpretarsi in connessione alla circostanza sub 2. Infatti, ove la quantificazione del FMV sia discrezionale, il ragionamento dell’agenzia delle entrate potrebbe essere condivisibile. Ove invece la determinazione del FMV sia demandata ad un perito (e quindi maggiormente caratterizzata da criteri di oggettività), il meccanismo di “godimento crescente” andrebbe esclusivamente ascritto alla necessità di prevedere un vesting period (sempre presente nei piani di incentivazione), propedeutico al raggiungimento di un allineamento di interessi tra manager ed azionisti (essendo proprio questa, tra l’altro, la finalità della Norma sul Carried Interest);
- relativamente, invece, alla circostanza sub 1 supra, la descrizione dei fatti riportata nella risposta all’interpello non dà la possibilità di capire appieno il meccanismo giuridico adottato nel piano per “obbligare” il manager a cedere le Azioni in connessione ad un leavership event. Probabilmente la posizione espressa dall’agenzia delle entrate risente proprio del fatto che sul manager gravi un obbligo di trasferimento delle Azioni. Si ritiene, tuttavia, che meccanismi giuridici alternativi che non si sostanzino nella costituzione di un obbligo (definito ora per allora) in capo al manager, quali, ad esempio, sistemi di call (e talvolta put) options non dovrebbero, invece, creare criticità.
Let’s Talk
Per una discussione più approfondita ti preghiamo di contattare:
PwC TLS Avvocati e Commercialisti
Director