A cura di Francesca Tironi e Valentina Panettella
In materia di validità dei licenziamenti intimati durante il periodo della pandemia, si segnala la sentenza n. 112/2020 del Tribunale di Mantova con la quale viene affermata la nullità del recesso del datore di lavoro in violazione del divieto di licenziamento di cui all’art. 46 del D.L. n. 18/2020 (divieto ad oggi prorogato sino al 31 marzo 2021).
Tale pronuncia, tra le prime ad affrontare la questione, enfatizzando la natura di «norme dal carattere imperativo e di ordine pubblico» della disciplina emergenziale, sostiene che la violazione non possa che trovare il suo epilogo nella più grave forma di patologia contemplata dal Codice Civile, la nullità.
Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva licenziato la dipendente per asserito giustificato motivo oggettivo, affermando di dover risolvere il rapporto di lavoro in virtù della chiusura della sede operativa e della cessazione dell’attività. Di fatto, però, il negozio in questione proseguiva la propria attività, così come gli altri punti vendita della società.
Il Tribunale, allora, condannava l’azienda alla reintegrazione della lavoratrice (art. 18, co. 1, L. n. 300/1970, art. 2 D. Lgs. n. 23/2015), a pagare alla ricorrente la retribuzione dovuta dalla data del licenziamento fino al momento della riassunzione in servizio e a versarle i contributi previdenziali e assistenziali dovuti, ferma restando la facoltà per la dipendente di optare per l’indennità sostitutiva della reintegra.
La nullità del licenziamento intimato in violazione del divieto di cui all’art. 46, offre l’occasione per approfondire la complessa tematica riguardante la validità di una transazione avente ad oggetto un atto nullo.
Nonostante la nullità del licenziamento, infatti, il lavoratore, nell’ambito dei suoi diritti, può liberamente disporre del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni.
L’interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro, come confermato dalla Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. Lav., 19/10/2009, n. 22105), rientra nell’area della libera disponibilità, e ciò è desumibile dalla facoltà di recesso “ad nutum” di cui il medesimo dispone, dall’ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto di lavoro e dalla possibilità di consolidamento degli effetti del licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione.
Sarebbe dunque verosimilmente valida la transazione conclusa tra il dipendente illegittimamente licenziato e il datore di lavoro, avente ad oggetto la rinuncia del primo alla reintegrazione nel posto di lavoro, poiché trattasi di un diritto disponibile escluso dalla previsione dell’art. 2113 c.c.
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