A cura di Luca Ghelli e Beatrice Pelo
Con la Risposta ad interpello n. 1/2021, dello scorso 4 gennaio 2021, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata, con riferimento ad un caso sottoposto da un contribuente, in merito alla possibilità di riconoscere la qualifica di esportatore abituale e, conseguentemente, la facoltà di utilizzare il plafond IVA già maturato, in capo ad un soggetto non residente in Italia, ma ivi registrato ai fini IVA, tramite l’istituto dell’identificazione diretta, oppure, tramite la nomina del rappresentante fiscale.
Come noto, l’art. 8, primo comma, lettera c), del d.P.R. n. 633/1972 disciplina il regime IVA applicabile agli esportatori abituali, ossia agli operatori economici che effettuano operazioni non imponibili, quali esportazioni e cessioni intracomunitarie e, dunque, possono effettuare acquisti senza pagamento dell’imposta nei limiti dei corrispettivi relativi alle operazioni non imponibili registrate nell’anno solare (c.d. plafond fisso), ovvero nei dodici mesi precedenti (c.d. plafond mobile).
A tal proposito, secondo quanto previsto dalla disposizione contenuta nel comma 2, dell’art. 8, del d.P.R. n. 633/1972, la facoltà di acquistare in regime di sospensione di imposta può essere attribuita nel solo caso in cui le appena menzionate cessioni e prestazioni siano state poste in essere dai “soggetti indicati nella lettera a), se residenti”.
Nello specifico, si tratta di una locuzione che, se interpretata dal punto di vista letterale, potrebbe condurre ingiustificatamente ad una discriminazione tra i soggetti stabiliti e i soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato. Il pericolo che si vuole prevenire è che, a questi ultimi, possa essere disconosciuta la facoltà di acquisire la qualifica di esportatore abituale e, dunque, il diritto alla maturazione del plafond IVA.
Sul punto, proprio al fine di scongiurare il rischio di una disparità di trattamento fiscale ai fini IVA tra soggetti residenti e soggetti non residenti, in passato, è intervenuta l’Amministrazione Finanziaria, la quale con la risoluzione n. 80, del 4 agosto 2011, ha chiarito che un soggetto non stabilito e identificato in Italia “realizza un’operazione rilevante ai fini dell’IVA i cui corrispettivi (…) danno titolo ad effettuare acquisti senza IVA, quando pone in essere: a.1) esportazioni”.
Con tale atto di prassi, l’Ufficio ha confermato un orientamento già espresso, in epoca risalente, tramite la risoluzione n. 102, del 21 giugno 1999, con la quale è stato riconosciuto espressamente ai soggetti non stabiliti la facoltà di avvalersi della disciplina dell’esportatore abituale.
A tal riguardo, è bene precisare che, a fondamento della descritta conclusione, cui è da sempre pervenuta l’Amministrazione Finanziaria si pone la ratio sottesa all’art. 8, del d.P.R. n. 633/1972, che è quella di agevolare i rapporti tra Erario ed esportatori abituali, limitando nei confronti di questi ultimi “il rischio di esposizioni finanziarie derivanti dal sistema proprio di applicazione dell’IVA”.
Proprio in ragione di tale ratio, con l’istanza di interpello in commento, il contribuente ha domandato all’Agenzia delle Entrate se possa essere riconosciuta la qualifica di esportatore abituale ad una Società avente sede legale all’estero e registrata ai fini IVA in Italia, la quale svolge il ruolo di agente senza rappresentanza e pone in essere cessioni all’esportazione di beni che, sino alla consegna ai clienti finali esteri, restano di proprietà dei committenti (c.d. “Partner”).
Nel caso sottoposto all’Agenzia delle Entrate, solo descritto sinteticamente nella versione pubblicata, il contribuente ritiene che tale facoltà debba essere riconosciuta.
Innanzitutto, l’istante ha evidenziato che, in qualità di commissionario, quest’ultimo ha posto in essere nei confronti del cessionario finale, delle vendite assimilate (ex art. 2, comma 2, n. 3, del d.P.R. n. 633/1972), le quali rientrano nella categoria delle esportazioni non imponibili, ex art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 633/1972.
Per tale ragione, la Società ha sottolineato che, a proprio parere, le vendite da essa effettuate vadano a concorrere alla formazione del plafond, sebbene si inseriscano nello schema del contratto di commissione (di cui all’art. 1731 c.c.),il quale non prevede che vi sia un passaggio di proprietà dei beni tra committente e commissionario e indipendentemente dal suo status di soggetto non residente.
Le considerazioni dell’istante sono state accolte dall’Agenzia delle Entrate.
Alla luce di quanto sopra esposto, risulta evidente come l’Amministrazione Finanziaria, con la Risposta ad interpello in commento, confermi l’orientamento già consolidato in relazione ad altre fattispecie, secondo il quale, è riconosciuto il diritto alla maturazione del plafond in capo a soggetti non residenti in Italia, ma ivi registrati ai fini IVA, anche laddove questi agiscano in qualità di commissionari/mandatari.
La medesima considerazione ha trovato applicazione anche con riguardo alla fattispecie relativa ad una operazione triangolare all’esportazione, così come descritto nella risposta ad interpello n. 580, del 10 dicembre 2020.
L’operazione esaminata dall’Ufficio, con la citata risposta ad interpello è caratterizzata dalla presenza di tre soggetti. Nello specifico, il primo cedente residente all’estero e identificato ai fini IVA in Italia vende la merce ad un promotore, stabilito in Italia.
Tale ultimo soggetto, a sua volta, effettua una vendita verso il cliente extracomunitario, incaricando il primo cedente di occuparsi del trasferimento dei beni verso il Paese extracomunitario.
Ebbene, si verifica una doppia cessione all’esportazione, in relazione alla quale l’Agenzia delle Entrate, coerentemente con le tendenze manifestate in passato e di recente, ha confermato la possibilità di maturare il diritto integrale alla formazione del plafond per gli esportatori abituali, sia in capo al primo cedente (c.d. plafond libero), ancorché non residente, che in capo al secondo cedente, ossia al promotore (c.d. plafond vincolato).
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