A cura di Francesca Tironi, Alessandro Ferrari e Valentina Panettella
Nella precedente newsletter avente ad oggetto il dibattuto tema del blocco dei licenziamenti (https://blog.pwc-tls.it/it/2021/01/28/nullita-del-recesso-del-datore-di-lavoro-in-violazione-della-normativa-sul-blocco-dei-licenziamenti/), è stata analizzata la pronuncia n. 112/2020 con la quale il Tribunale di Mantova ha sostenuto la nullità del recesso del datore di lavoro attuato in violazione del divieto di licenziamento di cui all’art. 46 del D.L. n. 18/2020.
Un tema, quello del blocco dei licenziamenti che, al di là della detta pronuncia, è stato più volte affrontato dagli interpreti, che a più riprese hanno ipotizzato una lesione dell’art. 41 della Costituzione Italiana, sul presupposto che siffatto divieto comprimesse oltremodo la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore.
A riprova della delicatezza (e complessità) della questione, recentemente nella penisola iberica si è pervenuti a considerazioni diametralmente opposte da quelle del giudice italiano che, anche vista l’attualità del tema, meritano un adeguato approfondimento. Il Tribunale di Barcellona, infatti, con la sentencia n. 283/2020, Juzgado de lo Social N°. 1 de Barcelona, ha affermato la contrarietà al Diritto dell’Unione Europea del divieto di licenziamento (prohibición de despido) previsto dal Real Decreto-Ley n. 9/2020, più volte prorogato (come avvenuto in Italia).
Più nello specifico, la Corte catalana, nell’affrontare la tematica del licenziamento intimato per ragioni economiche dovute alla pandemia in corso, dopo averne riconosciuto nel caso concreto la legittimità, si è soffermata sulla adeguatezza della scelta legislativa di reiterare il citato divieto. E così, pur apprezzando l’intento virtuoso posto alla base dell’introduzione della misura, l’attenzione del giudice si è concentrata sulla dimostrata inefficacia delle sue proroghe, nonché sulla contrarietà della stessa non solo al diritto costituzionale spagnolo, ma anche ai principi UE. Stando alle valutazioni del giudice, la tutela della libertà d’impresa (sancita ex art. 38 della Constitución Española; art. 3, par. 3 del Trattato sull’Unione Europea; e art. 16 della Carta di Nizza), minata dalla misura del blocco dei licenziamenti, rappresenterebbe una prerogativa di tale importanza da far sì che la sua lesione non possa che sfociare nella disapplicazione del diritto nazionale emergenziale per contrarietà al diritto europeo.
Condivisibili o meno i ragionamenti della citata pronuncia, ad essa deve comunque riconoscersi il merito di aver, a quanto consta, per prima in Europa messo in dubbio la compatibilità della reiterazione del blocco dei licenziamenti con il diritto UE. La previsione normativa in esame, infatti, sebbene probabilmente “obbligata” dalla situazione emergenziale legata al propagarsi del virus Covid-19, altera di fatto l’equilibrio – già di per sé delicato – tra la libertà di iniziativa economica degli imprenditori da un lato, e la contrapposta necessità di salvaguardare l’occupazione dall’altro.
In conclusione, senza voler in questa sede soffermarci su un tema, quello in oggetto, che meriterebbe ben più approfondite riflessioni, interessante quantomeno notare che la pronuncia in esame si sofferma sul blocco dei licenziamenti “spagnolo” che, a differenza di quello nostrano, è circoscritto ai licenziamenti per motivi economici strettamente legati agli effetti della pandemia e intimati nei sei mesi successivi alla fruizione di un ammortizzatore sociale. Orbene, se nel caso in esame è stata affermata la contrarietà della previsione nazionale con il diritto europeo, come potrebbe non risultare parimenti in contrasto con il diritto europeo una norma – quella italiana – il cui raggio d’azione è molto più ampio (e, per converso, molto più restrittivo per le imprese)? In tal senso, sarà interessante capire se la giurisprudenza nazionale verrà influenzata da quanto sinora esposto oppure continuerà a legittimare l’opera del legislatore, quantomeno sino al 31 marzo 2021.
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