Corte Costituzionale: obbligatoria la reintegra in caso di manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

A cura di Francesca Tironi, Alessia Sveva Spadoni e Sara Tanieli

In data 24/2/21 la Corte Costituzione, per il tramite del proprio Ufficio Stampa, ha comunicato di aver ritenuto fondata, per violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, c. 7, L. n. 300/70 (Statuto dei Lavoratori) e ss.mm.ii. sollevata dal Tribunale di Ravenna con ordinanza di rimessione n. R.G. 964/2019 del 7/2/20.

Il Tribunale di Ravenna – adito da una società che era risultata soccombente nella prima fase del procedimento Fornero instaurato da un lavoratore licenziato tre volte nel giro di alcuni mesi, una delle quali per giustificato motivo oggettivo – ha infatti ritenuto, al fine di potersi pronunciare sulla fattispecie, di doversi soffermare sulla versione attuale della sopra menzionata disposizione relativamente alla parte che prevede per il giudice, allorché abbia accertato la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la possibilità di scegliere tra il disporre la reintegra del lavoratore o la tutela indennitaria anziché imporgli l’obbligo di disporre la sola tutela reale (attenuata rispetto a quella previste nei primi tre commi dello stesso art. 18), come previsto dall’art. 18, c. 4, L. n. 300/70 nel caso in cui venga accertata l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo soggettivo e del licenziamento per giusta causa.

Al riguardo, i giudici di merito hanno in particolare ritenuto che la norma in esame si ponga in contrasto:

  1. con l’art. 3, comma 1, Cost., posto in confronto con l’art. 18, c. 4, L. n. 300/70 e ss.mm.ii.;
  2. con l’art. 41, c. 1, Cost.;
  3. con l’art. 24 Cost.;
  4. con l’art. 111, c. 2 Cost.

Rispetto all’art. 3 Cost., si legge in particolare tale doglianza: “si tratterebbero in modo ingiustificatamente differenziato (a livello di tutele) situazioni del tutto identiche, ossia il licenziamento per giusta causa e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo dei quali si sia accertata in giudizio l’infondatezza (addirittura la manifesta infondatezza per il G.M.O.)” e “tale differenza di tutele sarebbe determinata dalla mera, insindacabile e libera scelta del datore di lavoro di qualificare in un modo o nell’altro l’atto espulsivo dallo stesso adottato e rivelatosi poi del tutto pretestuoso”. Rispetto a tale ultimo punto, ricordiamo infatti che il giudice non può sindacare nel merito la scelta imprenditoriale di procedere ad un recesso per giustificato motivo oggettivo, venendo altrimenti violato il principio di libertà imprenditoriale di cui all’art. 41 Cost.. Egli può invero solo verificare l’effettiva sussistenza della ragione addotta alla base del recesso e il nesso causale tra tale ragione e il licenziamento, oltre che l’impossibilità del datore di lavoro di ricollocare il lavoratore all’interno dell’impresa (c.d. «repechage»).

Con riferimento all’art. 41, c. 1, Cost., viene invece osservato che, per come l’art. 18, c. 7, L. n. 300/70 è attualmente formulato, “si verrebbe a conferire al giudice un potere di scelta di tipo squisitamente imprenditoriale, ossia, ed essenzialmente, il potere di comminare un nuovo ed autonomo atto espulsivo in relazione ad un lavoratore che avrebbe dimostrato di essere stato illegittimamente licenziato e che andrebbe, altrimenti, reintegrato nel posto di lavoro”.

Per quanto infine concerne gli artt. 24 e 111, c. 2, Cost., il Tribunale di Ravenna ha ritenuto che la norma sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale sia lesiva del diritto di agire del lavoratore e del principio del giusto processo. Sul punto, viene infatti rilevato che il lavoratore “si troverebbe esposto all’esercizio di una facoltà giudiziale totalmente discrezionale (quella di decidere se espellere un lavoratore che, avendo dimostrato la pretestuosità del licenziamento, andrebbe altrimenti reintegrato), senza essere posto nella facoltà di difendersi e dovendo subire, proprio nel momento della tutela dei propri diritti […], il potenziale arbitrio […] di chi dovrebbe tutelarlo”, e ciò nell’ambito di un processo in cui il giudice, anziché essere terzo ed imparziale, come richiede il principio del giusto processo, assume invece il ruolo dell’imprenditore” munito del “potere di licenziare, per giunta completamente sganciato da ogni criterio applicativo”.

Ferme le argomentazioni formulate dal Tribunale di Ravenna, ora non resta che attendere la pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale per poter comprendere anche l’iter argomentativo seguito da quest’ultima per giungere alla declaratoria di illegittimità dell’art. 18, c. 7, L. n. 300/70 e ss.mm.ii. nella parte concernente le conseguenze sanzionatorie incombenti sul datore di lavoro in caso di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

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