A cura di Francesca Tironi e Valentina Panettella
Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 26 febbraio ha disposto la reintegrazione di un dirigente licenziato lo scorso luglio 2020 per soppressione della posizione, ritenendo tale licenziamento nullo per violazione del divieto imposto dalla normativa emergenziale (art. 46 del D.L. n. 18/ 2020, convertito in legge n. 27/2020; art. 80 del D.L. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020).
La sentenza ha riaperto la querelle sull’ammissibilità dell’estensione del blocco dei licenziamenti nei confronti della categoria dei dirigenti.
Mentre da un lato vi è chi sostiene che tale pronuncia sia in linea con la ratio sottesa allo strumento del blocco, e cioè quella di evitare che le negative conseguenze economiche prodotte dalla pandemia possano ripercuotersi sui lavoratori; dall’altro vi è chi ritiene, in forza di un’interpretazione sistematica dell’art. 46, che il divieto di licenziamento debba essere circoscritto all’ipotesi di cui all’art. 3 della L. n. 604/1966 (non applicabile ex lege ai dirigenti).
Nel caso in esame, il giudice ha sostenuto l’irragionevolezza, a parità di giustificazione economica del recesso, della mancata estensione ai dirigenti, cui è applicabile expressis verbis la tutela in caso di licenziamento collettivo, della disciplina del blocco Covid in caso di licenziamento individuale e ha giustificato il rimando operato dalla norma emergenziale all’articolo 3 della L. n. 604/1966, come teso a identificare la natura ostativa della ragione posta a fondamento del recesso, non anche a delimitarne l’ambito soggettivo di applicazione.
L’ordinanza, nel porre in discussione l’orientamento che sino ad oggi ha escluso i dirigenti dal novero dei lavoratori tutelati dal blocco dei licenziamenti individuali, accoglie un’interpretazione che amplia la platea dei beneficiari della disciplina del blocco.
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