A cura di Marzio Scaglioni e Paola Barresi
Con la Circolare n. 45/2021 del 19 marzo, l’INPS aggiorna le istruzioni operative per il riconoscimento, in via riproporzionata, dei tre giorni di permesso mensili a favore dei lavoratori che assistono familiari disabili nei casi di lavoro part-time verticale o misto.
Come noto, l’art. 33, legge n. 104/1992 riconosce al lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti, il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito dall’Istituto previdenziale e coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.
Negli ultimi anni si è discusso a lungo sulla legittimità o meno del riproporzionamento nella misura di due, invece che tre, di detti permessi mensili nell’ambito del part-time, con diverse prese di posizione nella prassi istituzionale e giurisprudenziale.
Con il più recente Messaggio n. 3114/2018 l’INPS coglieva l’occasione di ribadire le regole di riproporzionamento dei giorni di permesso da riconoscere ai lavoratori part time “in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa”, ex. art 7, d.lgs. n. 81/2015, secondo il principio di non discriminazione.
Di diversa opinione la giurisprudenza della Suprema Corte che con le sentenze n. 22925/2017 e n. 4069/2018 interpretava le norme di riferimento a favore del lavoratore part-time, considerando i permessi strumento di politica socio-assistenziale che mirano a favorire l’assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare, quale diritto fondamentale dell’individuo (art. 32 Cost.) e rientrante in quanto tale tra i diritti inviolabili garantiti all’uomo (art. 2 Cost.).
Le ragioni della Corte si basavano su un’analisi accurata dell’art. 4, d.lgs. n. 61/2000 che distingueva tra i diritti del lavoratore part-time e i relativi trattamenti economici, contemplando la possibilità di una compressione della misura solo per questi ultimi e non anche per la sfera giuridica di diritti del lavoratore. Infatti, si distingueva fra quegli istituti che hanno una connotazione patrimoniale e che si pongono in stretta corrispettività con la durata della prestazione lavorativa, ammettendone il riproporzionamento, ed istituti riconducibili ad un ambito di diritti a connotazione non strettamente patrimoniale, che si è inteso salvaguardare da qualsiasi riduzione connessa alla minore entità della durata della prestazione lavorativa.
Nella primavera 2020, anche il Ministero del Lavoro, con la circolare esplicativa n. 3, riconoscendo ulteriori 12 giorni di permesso 104 per il periodo di pandemia, condivideva le interpretazioni della Corte.
Ecco che, dopo anni di dibattito, con la Circolare n. 45 l’INPS è infine intervenuta adeguandosi alle prescrizioni della Cassazione e del Ministero del lavoro, rivedendo il calcolo da applicare e il campo di applicazione del riproporzionamento.
Partendo dal principio secondo il quale il diritto a usufruire dei permessi non è comprimibile si distingue tra:
- le prestazioni di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto con un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario per le quali rimangono valide le disposizioni di riproporzionamento già fornite con Messaggio n. 3114/2018, e
- le prestazioni svolte in regime di part-time con percentuale “a partire dal 51%” per le quali verranno riconosciuti interamente i tre giorni di permesso mensile.
Inoltre, vengono confermate le regole di frazionabilità del permesso in ore equivalenti ai 3 giorni mensili per tutti i tipi di rapporti part-time.
Sulla scorta delle ultime novità introdotte, sul lato pratico sarà necessaria una gestione del caso concreto accurata e precisa, che tenga conto di tutte le casistiche possibili e delle variabili di rilievo.
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