A cura di Flavia Barone, Carmela Ettorre, Cristina Carmosino e Fabrizio Tenuta
Con il documento pubblicato il 21 gennaio 2021, il Segretariato dell’OCSE torna ad esprimersi su criteri e modalità di applicazione dei Trattati in conseguenza della pandemia in corso che, oramai da oltre un anno, affligge il mondo intero e comporta una produzione normativa senza precedenti per destinatari, contenuti, termini e modalità di sostegno alla più vasta e variegata congerie di categorie produttive e non, impattate direttamente o indirettamente dalle deteriori conseguenze economiche generate dall’emergenza sanitaria.
In occasione dell’emanazione delle prime linee guida, nell’aprile del 2020, non era prevedibile per quanto tempo le limitazioni agli spostamenti sarebbero restate in vigore. Oggi, alla luce della circostanza che vede diverse limitazioni introdotte all’inizio dello scorso anno ancora in vigore o continuativamente o in via intermittente, si è reso necessario integrare e rivedere il testo emanato nello scorso aprile, verificare se le analisi svolte all’epoca siano ancora valide e considerare quanto localmente stabilito dai singoli Paesi.
Peraltro, sulla scorta delle considerazioni contenute nelle prime linee guida emanate nell’aprile del 2020, in risposta ad una interrogazione parlamentare presentata nella VI Commissione (Finanze) nella quale gli Onorevoli interroganti appariva utile e opportuno che anche in Italia vi fosse un pronunciamento che recepisse le indicazioni fornite in quella sede dall’OCSE, il 3 dicembre 2020 il Governo Italiano, sentiti i competenti Uffici dell’Amministrazione Finanziaria, ha ufficialmente confermato come, in sede di partecipazione ai lavori dell’OCSE, l’Italia avesse espresso al Segretariato OCSE parere favorevole alla pubblicazione di linee guida da parte dell’Organizzazione per la questione afferente a potenziali mutamenti della residenza fiscale occorsi a causa delle limitazioni agli spostamenti dovute al COVID-19, sottolineando altresì che nella situazione in esame per l’applicazione dei trattati fiscali può trovare applicazione l’orientamento generale raccomandato dall’OCSE nella situazione “eccezionale” della pandemia, nel senso di “neutralizzare” quanto più possibile l’impatto delle misure di restrizione dovute alla crisi pandemica.
Tale approccio, riferito ai Trattati contro le doppie imposizioni, può ritenersi valevole sia con riferimento agli impatti sulla residenza delle persone fisiche che con riferimento alle conseguenze in termini di stabile organizzazione e residenza fiscale delle persone giuridiche.
Tornando alle novellate linee guida, gli ambiti cui esse si riferiscono sono i medesimi cui si faceva riferimento nella precedente occasione e, in particolare:
- la stabile organizzazione materiale (fattispecie del c.d. “home office”), la stabile organizzazione personale e la stabile organizzazione da cantiere;
- la residenza fiscale delle persone giuridiche;
- la residenza fiscale delle persone fisiche;
- i redditi da lavoro dei dipendenti dislocati in diverse giurisdizioni.
Le nuove linee guida riepilogano le problematiche già sollevate in precedenza e forniscono alcuni ulteriori suggerimenti interpretativi.
La stabile organizzazione
Nelle proprie rinnovate linee guida, l’OCSE ricorda – come già aveva fatto nella precedente occasione – che l’eccezionale e temporaneo mutamento nella localizzazione dell’attività del personale dell’impresa (quale, ad esempio, il telelavoro o smartworking) non dovrebbe comportare l’insorgenza di una stabile organizzazione dell’impresa. Ad analoga conclusione dovrebbe pervenirsi nell’ipotesi in cui il dipendente concluda contratti per conto dell’impresa dalla propria abitazione.
Specularmente, l’interruzione delle attività verificatasi in un cantiere in ragione delle limitazioni agli spostamenti delle persone non dovrebbe comportare l’interruzione del calcolo dei termini previsti per l’esistenza di una stabile organizzazione da cantiere, sebbene alcuni Paesi possano reputare opportuno “sospendere” comunque tali termini anche in simili ed eccezionali eventualità.
Diversi Paesi hanno emanato linee guida proprie in merito alle tematiche oggetto dell’intervento dell’OCSE che, in proposito, coglie l’occasione per invitare tutti i Paesi ad adottare un approccio simile.
In particolare, le Amministrazioni Finanziarie di Australia, Austria, Canada, Germania, Grecia, Irlanda, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti hanno a vario titolo fornito indicazioni di massima cui attenersi nel vagliare potenziali ipotesi di stabile organizzazione nei rispettivi territori.
Taluni di questi Stati hanno emanato indicazioni di natura generale (in alcuni casi unitamente ad indicazioni afferenti a singole tipologie di stabile organizzazione), da contestualizzare in relazione al caso specifico.
Si tratta di:
- Australia: nelle proprie linee guida, il Tax Office ha chiarito che gli effetti dell’emergenza COVID-19 non daranno di per sé luogo all’esistenza di una stabile organizzazione in Australia a condizione che i) l’impresa non residente non avesse una stabile organizzazione in Australia già precedentemente all’emergenza sanitaria; ii) non siano occorsi mutamenti nelle circostanze di fatto dell’operatività dell’impresa in Australia; iii) la permanenza in Australia sia la conseguenza di breve termine delle restrizioni ai movimenti imposti per il COVID-19. Il Tax Office aggiunge che non impegnerà risorse nell’accertamento della presenza di una stabile organizzazione se i) l’impresa non residente non avesse già per altri motivi una stabile organizzazione precedentemente all’emergenza sanitaria; ii) la temporanea presenza di dipendenti in Australia continui solo ed esclusivamente a causa delle restrizioni ai movimenti causate dal COVID-19; iii) tali dipendenti siano dislocati al di fuori del territorio australiano non appena possibile; iv) non sia stata accertata l’esistenza di una stabile organizzazione in Australia o comunque la produzione di reddito in Australia in ragione di disposizioni tributarie di altre giurisdizioni;
- Canada: la Revenue Agency ha emanato delle linee guida temporanee sottolineando che non considererà esistente una stabile organizzazione di un’impresa estera solo perché un dipendente di tale impresa è stato costretto dalle disposizioni emergenziali a restare in territorio canadese;
- Irlanda: l’Office of the Revenue Commissioners (Revenue) ha emanato linee guida dirette a chiarire che la presenza di un individuo (dipendente, director, agente o service provider di un’impresa estera) all’interno del territorio irlandese (e viceversa, di un irlandese in un territorio straniero) in ragione delle restrizioni ai movimenti dipendenti dall’emergenza COVID-19, non deve assumere specifico rilievo a fini fiscali. È richiesto che sia il dipendente che l’impresa documentino fatti e circostanze diretti a provare che detta presenza sia dipesa dall’emergenza sanitaria;
- Nuova Zelanda: nelle proprie linee guide, l’Inland Revenue neozelandese ha sottolineato che l’emergenza sanitaria in corso non darà luogo all’esistenza di una stabile organizzazione in Nuova Zelanda nell’ipotesi in cui il personale sia stato bloccato nel territorio dello Stato. Ad una impresa non residente non sarà contestata la presenza di una stabile organizzazione solo dopo un breve periodo di tempo, considerato che questa deve avere un certo grado di stabilità e non può essere di natura puramente temporanea;
- Regno Unito: l’HMRC nelle proprie linee guida evidenzia che l’esistenza di una stabile organizzazione non sarà contestata per il solo trascorrere di un breve periodo, considerata la necessità di un certo grado di stabilità per la configurazione di una stabile organizzazione;
- Stati Uniti: l’IRS sottolinea che durante il c.d. Affected Person’s COVID-19 Emergency Period (che include un periodo di 60 giorni consecutivi che siano iniziati il 1° febbraio 2020 o successivamente, oppure il 1° aprile 2020 o precedentemente) le prestazioni di servizi o le altre attività esercitate da uno o più persone temporaneamente presenti nel territorio degli Stati Uniti non saranno considerate ai fini della determinazione dell’esistenza di una stabile organizzazione, a condizione che tali attività siano state esercitate nel territorio degli Stati Uniti in ragione delle restrizioni agli spostamenti imposte per l’emergenza sanitaria.
Home Office
L’OCSE, nel ricordare che l’analisi in merito all’esistenza di una stabile organizzazione è basata su fatti e circostanze specifiche, evidenzia ancora una volta che requisito fondamentale è che la sede d’affari sia fissa, vale a dire abbia un certo grado di permanenza, e sia a disposizione dell’impresa. Sebbene l’abitazione di un soggetto possa in linea di principio essere considerata a disposizione dell’impresa (si veda il Commentario all’articolo 5 del Modello OCSE, paragrafi 18 e ss.), ciò non dovrebbe verificarsi laddove essa sia utilizzata soltanto in via intermittente. L’abitazione potrebbe costituire stabile organizzazione se utilizzata in via continuativa per l’esercizio dell’attività economica caratteristica dell’impresa non residente e se tale utilizzo sia stato richiesto all’individuo dall’impresa stessa.
Nel contesto della pandemia in corso, il telelavoro è conseguenza delle misure di salute pubblica adottate dai vari Paesi. Si tratta, a ben vedere, di una situazione emergenziale e non di una richiesta del datore di lavoro. Ne deriva che l’home office non può costituire stabile organizzazione dell’impresa non residente sia perché risulta assente un sufficiente grado di stabilità e continuità (le misure sono temporanee), sia perché l’home office non è a disposizione dell’impresa, nel senso inteso dall’OCSE, nonché perché l’impresa stessa continua a rendere disponibile al proprio dipendente un ufficio nel quale svolgere il proprio lavoro che, in assenza dell’adozione di misure a tutela della salute pubblica, sarebbe normalmente raggiungibile ed utilizzabile dal dipendente.
Va da sé che nell’ipotesi in cui il dipendente continui a lavorare dalla propria abitazione anche successivamente alla cessazione dell’emergenza e delle misure restrittive, l’home office potrebbe assumere il livello di stabilità e permanenza richiesto per ipotizzare l’esistenza di una stabile organizzazione.
Alcuni Paesi hanno emanato proprie linee guida recanti specifici chiarimenti con riguardo alla fattispecie dell’home office (così Austria e Grecia):
Agent PE
Il dubbio in merito alla potenziale configurazione di una stabile organizzazione sorge anche con riguardo alla stabile organizzazione personale o agent PE.
Come noto, la fattispecie si realizza nel caso in cui un soggetto agisce nel territorio dello Stato per conto di un’impresa non residente e “abitualmente” conclude contratti o opera ai fini della conclusione di contratti. Il requisito dell’abitualità difficilmente può configurarsi nel caso in cui un dipendente si trovi a lavorare in un altro Stato nella propria abitazione per un breve periodo per cause di forza maggiore, quale l’emergenza COVID-19, e concluda contratti per conto dell’impresa in tali – puramente transitorie – circostanze. Il Commentario all’articolo 5 del Modello OCSE, specifica che l’esercizio abituale del potere di concludere contratti richiede una presenza nello Stato che non abbia carattere puramente temporaneo o transitorio.
L’OCSE torna a ribadire che a diversi risultati dovrebbe pervenirsi laddove la conclusione dei contratti per conto dell’impresa nella propria abitazione avvenisse già precedentemente all’emergenza COVID-19. Parimenti, non potrebbe invocarsi l’eccezionalità nell’ipotesi in cui siffatta attività fosse esercitata anche successivamente alla pandemia da COVID-19..
Alcuni Paesi nelle proprie linee guida fanno espresso riferimento alla fattispecie dell’agent PE (Canada, Grecia e Regno Unito).
Construction PE
L’emergenza sanitaria ha comportato la sospensione delle attività in diversi cantieri in tutto il Mondo. L’OCSE ribadisce che, trattandosi di periodi di sospensione del tutto temporanei, di tali periodi debba comunque tenersi conto nel computo dei termini minimi di durata dei cantieri affinché essi configurino stabile organizzazione nel Paese nel quale sono localizzati, poiché interruzioni del tutto temporanee non comportano la cessazione dell’esistenza del cantiere. Tuttavia, si riconosce che alcune giurisdizioni potrebbero dare rilievo all’eccezionalità del momento e, pertanto, escludere dal computo della durata di un cantiere le interruzioni dovute a provvedimenti dettati dall’emergenza sanitaria.
Alcuni Paesi si sono esplicitamente espressi al riguardo, in alcuni casi conformemente (Austria) in altri difformemente dall’OCSE (Germania e Grecia):
La residenza fiscale delle persone giuridiche
L’attuale crisi sanitaria mondiale ha fatto sorgere dubbi in merito alla localizzazione della sede dell’amministrazione (place of effective management) delle imprese in ragione delle restrizioni ai movimenti di amministratori o di altri senior executives.
L’OCSE ribadisce che è improbabile che l’emergenza sanitaria possa dar luogo a mutamenti nella sede dell’amministrazione di una società nel contesto dei Trattati in vigore, trattandosi di circostanze del tutto straordinarie e temporanee.
Parimenti, piuttosto rare sono le situazioni in cui potrebbero verificarsi casi di doppia residenza, che, ad ogni modo, sarebbero risolte determinando la residenza in uno solo dei due Paesi coinvolti mediante l’utilizzo delle tie-breaker rules. In particolare, nel caso in cui il Trattato tra i due Paesi coinvolti contenga una clausola simile a quella contenuta nel Modello OCSE del 2017, le Autorità fiscali dei due Paesi potrebbero addivenire ad una soluzione sulla base di un’analisi specifica del caso con la stipula di un mutual agreement, tenendo in debita considerazione tutti i fatti e le circostanze rilevanti e non un singolo aspetto.
Nei diversi casi in cui il Trattato contenga le tie-breaker rules previste dal Modello OCSE ante 2017, il solo criterio utilizzato per la risoluzione dei casi di potenziale doppia residenza sarà il place of effective management, inteso quale luogo nel quale sono assunte le decisioni strategiche organizzative e commerciali della società.
Si tratta, a ben vedere, di fatti e circostanze ben lontane da situazioni eccezionali quali la pandemia in corso.
Pertanto, conclude l’OCSE, la residenza delle persone giuridiche difficilmente è impattata da misure attinenti alla tutela della salute pubblica.
A tale riguardo, alcuni Paesi hanno emanato specifiche line guida (Australia, Canada, Grecia, Irlanda, Nuova Zelanda, Regno Unito, Stati Uniti).
Come già accennato, viste le numerose sfumature nelle quali può estrinsecarsi l’interpretazione in merito all’esistenza di una stabile organizzazione e alla localizzazione della residenza fiscale di una società e preso atto che solo un limitato numero di Paesi ha recato sintetici chiarimenti al riguardo, risulta ancora più necessaria un’analisi specifica per valutare il rischio di esistenza di una stabile organizzazione ovvero di attrazione della residenza fiscale di una società in uno Stato diverso con particolare riguardo da un lato agli ampliati chiarimenti resi dall’OCSE e dall’altro al protrarsi oltremodo della pandemia, con il diradarsi di chiare e definite restrizioni ai movimenti, che complicano la gestione dei rischi dal punto di vista dell’operatività transnazionale delle società.
La residenza delle persone fisiche
Come accennato, l’attuale situazione di crisi economico-sanitaria causata dalla pandemia da COVID-19 e le successive restrizioni sanitarie attivate su scala globale, a partire dall’inizio del 2020, hanno influenzato e, talora, modificato le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa dei c.d. lavoratori in mobilità internazionale.
A tal riguardo, nelle rinnovate linee guida dello scorso 21 gennaio, l’OCSE conferma che, nonostante la complessità delle regole e nonostante la loro applicazione sia destinata ad una vasta gamma di persone, è improbabile che la situazione emergenziale causata dalla pandemia COVID-19, possa influire sulla determinazione della residenza fiscale ai sensi dei trattati internazionali.
Alcuni Paesi (Australia, Canada, Finlandia, Francia, Grecia, India, Irlanda, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti), a partire dallo scorso aprile, hanno fornito indicazioni e provvedimenti amministrativi sull’impatto della pandemia COVID-19 sull’applicazione dei trattati internazionali per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche.
Sulla scorta delle linee guida dello scorso aprile, l’OCSE ripercorre i possibili scenari che si possono verificare ed in particolare:
- 1) Una persona è temporaneamente fuori casa (per motivi di vacanza o per lavoro per poche settimane) e rimane bloccata nel Paese ospitante a causa della pandemia COVID-19 e vi acquisisce la residenza in base alla normativa locale.
- 2) Una persona lavora in un Paese (il “Paese di residenza attuale”) e vi acquisisce lo status di residenza, ma ritorna temporaneamente al suo “Paese di origine precedente” a causa dell’emergenza COVID-19. Questa persona potrebbe non aver mai perso lo status di residente nel Paese di origine precedente, ai sensi della legislazione nazionale, oppure potrebbe ri-acquisire lo status di residenza al proprio ritorno.
Per entrambi gli scenari, l’OCSE ricorda e conferma che, sebbene il punto di partenza, nella determinazione della residenza di una persona fisica, sia la normativa nazionale, quest’ultima può essere esaustiva solo se la persona è residente in un solo Paese, mentre, in tutti i casi in cui vi sia un rischio di doppia residenza, si dovrebbe far riferimento alle tie-breakers rules, stabilite nell’articolo 4 del Modello OCSE.
Come già suggerito nelle raccomandazioni di aprile, inoltre, l’OCSE ribadisce l’eccezionalità della crisi pandemica e sostiene che nel breve termine le amministrazioni fiscali e le autorità competenti dovranno considerare, ai fini della valutazione della residenza, un periodo di tempo che non sia influenzato da eventi eccezionali come la pandemia e le conseguenti restrizioni sanitarie, ma che risulti “normale” per la persona.
Considerazioni sul reddito da lavoro dipendente – Art. 15 Convenzione OCSE
Nel documento in commento, l’OCSE riparte dall’analisi dell’art. 15 delle Convenzioni internazionali con cui si disciplina la tassazione dei redditi da lavoro dipendente, già esposta nel documento emanato lo scorso aprile e si sofferma, analizzando nel dettaglio le posizioni dei c.d. lavoratori “cross-borders”.
Nello specifico, si ricorda che l’art. 15 stabilisce che “i salari che un residente di uno Stato riceve come corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili solo in detto Stato, salvo che l’attività non sia svolta nell’altro Stato contraente”.
Il comma 2 dell’art. 15 introduce poi il concetto di eliminazione a monte della doppia imposizione, infatti, in deroga alla regola generale, dispone che le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente svolta nell’altro Stato sono imponibili soltanto nel Paese di residenza se si verificano contemporaneamente le seguenti condizioni:
- il beneficiario soggiorna nello Stato in cui è svolta l’attività per meno di 183 giorni all’anno;
- le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non risiede nello Stato in cui è svolta l’attività lavorativa (economic vs legal employer);
- l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro abbia nello Stato in cui è svolta l’attività.
Nel caso in cui lo Stato della fonte eserciti la potestà in base all’art. 15, lo Stato di residenza del dipendente deve garantire con l’esenzione o con il credito di imposta l’eliminazione della doppia imposizione.
Dopo la premessa sull’art. 15 del Modello, già evidenziata e descritta nel documento dello scorso aprile, le raccomandazioni aggiornate considerano l’applicazione dell’art.15 alle seguenti casistiche:
- Sussidi salariali e altri redditi simili percepiti da lavoratori transfrontalieri che non possono svolgere il proprio lavoro a causa delle restrizioni
- Lavoratori bloccati in una giurisdizione in cui non sono residenti, ma nella quale in precedenza hanno esercitato un’attività lavorativa
- Lavoratori che lavorano a distanza da una giurisdizione per un datore di lavoro residente in un’altra giurisdizione.
Reddito dei lavoratori transfrontalieri (cross-border workers) che non possono svolgere il proprio lavoro a causa delle restrizioni COVID-19 (es. sussidi salariali ai datori di lavoro)
In questi casi l’OCSE ritiene che i sussidi governativi ricevuti dai datori di lavoro e dai lavoratori per garantire la continuità delle posizioni lavorative anche durante la pandemia COVID-19, debbano essere attribuibili e, quindi tassabili, nel luogo in cui era svolta l’attività lavorativa a cui tali sussidi fanno riferimento. Nel caso dei lavoratori transfrontalieri, quindi, questa sarebbe la giurisdizione in cui lavoravano.
L’OCSE esprime, poi, un suggerimento in merito ai trattamenti straordinari legati alla perdita del lavoro oppure agli interventi dei singoli stati a supporto del reddito da lavoro dipendente. Il parere è quello di considerare tali redditi alla stregua dei trattamenti erogati in occasione della cessazione dei rapporti di lavoro dipendente e, quindi, di tassare nel Paese in cui è stata prestata l’attività lavorativa a cui essi si riferiscono. A tal proposito, l’OCSE, infatti, rimanda al paragrafo 2.6 del proprio commentario all’articolo 15, che chiarisce che dovrebbero essere attribuibili al luogo in cui il dipendente avrebbe lavorato. Nella maggior parte dei casi, questo è il luogo in cui la persona lavorava prima della pandemia di COVID-19.
In alternativa, i pagamenti potrebbero essere assimilati a quelli che vengono normalmente ricevuti durante i periodi di assenza retribuiti, il cui diritto sorge in relazione al luogo in cui è stato svolto il lavoro. Esempi di tali altri pagamenti di routine includono le indennità per ferie, i congedi retribuiti, le assenze per malattia.
Lavoratori bloccati: superamento della soglia dei giorni di presenza a causa delle limitazioni ai viaggi
Come accennato in precedenza, la pandemia COVID-19 ha limitato gli spostamenti dei lavoratori in mobilità internazionale, avendo come conseguenza principale, il fatto che individui residenti in una giurisdizione che esercitavano un’attività lavorativa in un’altra giurisdizione si siano ritrovati bloccati in quell’altra giurisdizione.
Nel documento in commento, l’OCSE riassume la posizione assunta da alcuni Paesi (Australia, Austria, Canada, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti) che hanno ritenuto opportuno ignorare il superamento della soglia dei giorni di presenza (solitamente 183 giorni), data l’eccezionalità della situazione causata dalla pandemia COVID-19.
Dalla disamina delle singole linee guida emanate dai vari Paesi, si può vedere, quindi, come la raccomandazione da parte dell’OCSE, sia quella di ragionevolmente ignorare, considerata la situazione eccezionale causata dalla pandemia e dalle misure restrittive adottate dalle singole giurisdizioni, il superamento della soglia dei giorni di presenza (e. il test dei 183 giorni in base all’art. 15, comma 2, lett. a) del Modello OCSE).
Rimane, tuttavia, valido il suggerimento di verificare caso per caso, in base alle previsioni ai singoli trattati internazionali nonché alle eventuali nuove linee guida che ciascun Paese potrà adottare.
Sempre con riferimento al superamento della soglia dei giorni di presenza, l’OCSE nel documento in oggetto, dedica un paragrafo alla posizione dei cd. cross-border workers, ovvero i lavoratori transfrontalieri che, data la natura del proprio lavoro, sono residenti in un dato Paese, ma si recano frequentemente per lavoro in un Paese confinante.
L’OCSE chiarisce che alcune giurisdizioni hanno concordato disposizioni speciali con le giurisdizioni confinanti, verso le quali i dipendenti si recano frequentemente per lavoro. Tali disposizioni assegnano i diritti di imposizione in modo differente rispetto dall’articolo 15 della Convenzione tipo. Ad esempio, in base ad alcune di queste disposizioni, i dipendenti che si recano in una giurisdizione confinante sono tassabili sul reddito da lavoro solo nella giurisdizione del paese di origine, a condizione che qualsiasi attività lavorativa svolta altrove sia limitata a un periodo massimo stabilito (generalmente dalle 4 alle 6 settimane lavorative).
Alcuni di questi trattati includono, inoltre, disposizioni in base alle quali i giorni di telelavoro sono considerati giorni lavorativi all’interno della giurisdizione ove viene svolta l’attività. Alcune giurisdizioni hanno concordato di considerare la pandemia COVID-19 come causa di forza maggiore o circostanza eccezionale e, di conseguenza, il tempo trascorso dal dipendente in modalità teleworking nella propria giurisdizione di origine, non è considerato ai fini del calcolo del numero massimo di giorni di lavoro consentiti al di fuori del luogo ove si svolge l’attività stessa.
Teleworking dall’estero: lavorare a distanza da una giurisdizione per un datore di lavoro residente in un’altra giurisdizione
Nel presente paragrafo, l’OCSE affronta il tema delle conseguenze che si possono verificare, in capo al datore di lavoro e al lavoratore, a seguito del cambiamento del luogo nel quale viene esercitata l’attività lavorativa, in particolare, quando tale cambiamento può comportare una modifica nel diritto di tassazione di un Paese rispetto ad un altro e quando si possono verificare conseguenze che hanno un impatto fiscale sugli obblighi del datore di lavoro come sostituto d’imposta e/o sul lavoratore.
L’OCSE descrive, quindi, alcuni esempi che illustrano i cambiamenti nell’allocazione dei diritti di tassazione sul reddito da lavoro dipendente e si sofferma sulle possibili conseguenze che si avrebbero in riferimento all’applicazione dell’art. 15 del Modello OCSE, laddove la situazione contingente andasse a modificare la sussistenza dei requisiti previsto dallo stesso art. 15.
Questo potrebbe comportare, da un lato la perdita del diritto a godere dell’esenzione garantita dall’art. 15, con conseguenti obblighi fiscali, dall’altro potrebbe generare eventuali crediti a seguito dell’applicazione di ritenute alla fonte non sospese nell’altro Stato e, in alcuni casi, doppia tassazione con conseguenti oneri legati alla liquidità del lavoratore in attesa di restituzione del credito di imposta.
L’OCSE raccomanda, ancora una volta, di mantenere un approccio più flessibile e un livello eccezionale di coordinamento fra i Paesi per garantire la gestione di un evento eccezionale come l’attuale pandemia.
A nostro avviso una riflessione a parte meriterebbe l’applicazione della normativa italiana in riferimento alla determinazione del reddito da lavoro dipendente in base alle retribuzioni convenzionali.
La normativa italiana in tema di tassazione dei redditi da lavoro dipendente prestato all’estero con l’art. 5 del D.Lgs. n. 314/1997 ha previsto l’abrogazione dell’art. 3, comma 3, del TUIR che prevedeva l’esonero per i redditi da lavoro dipendente prestati in via continuativa ed esclusiva all’estero.
L’art. 36 della L. n. 342/2000 ha integrato le disposizioni per la determinazione del reddito da lavoro dipendente del soggetto residente in Italia con l’aggiunta del comma 8-bis all’art. 48 del TUIR, oggi articolo 51.
In particolare, ha stabilito la tassazione del reddito da lavoro dipendente prodotto all’estero in via continuativa ed esclusiva, da un soggetto fiscalmente residente in Italia, in base a valori convenzionali definiti con Decreto dal Ministero del Lavoro. Affinché si possa applicare il comma 8-bis, l’attività deve essere prestata in via continuativa ed esclusiva all’estero e per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno.
Per l’applicazione della disciplina è necessario uno specifico contratto tra le parti, che preveda la prestazione in via continuativa ed esclusiva all’estero, non applicabile, quindi, ai lavoratori in trasferta.
La base imponibile considera una retribuzione convenzionale, quindi anche i benefits non subiscono nessuna tassazione autonoma, perché il loro ammontare è ricompreso nella retribuzione convenzionale.
Quindi, laddove la situazione contingente legata all’emergenza facesse venir meno uno dei requisiti previsti dall’art. 51 comma 8 bis, perché ad esempio il lavoratore distaccato all’estero, si ritrova a dover lavorare dall’Italia, allora, si porrebbe il problema di dover assoggettare a tassazione in Italia i redditi prodotti all’estero, determinando la base imponibile, non più in base alle retribuzioni convenzionali ma addirittura in base al reddito effettivo.
Questo implicherebbe un onere enorme in termini di imposte e di adempimenti amministrativi, senza contare che l’approccio andrebbe in senso contrario a quanto sinora suggerito dall’OCSE e dalla stessa UE in materia di sicurezza sociale e previdenziale.
A tal riguardo segnaliamo una interrogazione parlamentare a risposta scritta, la n. 4/07439, presentata dal deputato Simone Billi, nella seduta n. 425 dello scorso 10 novembre 2020, attraverso la quale si chiede di chiarire, attraverso delle linee guida nazionali, quali siano gli impatti fiscali derivanti da prolungati periodi di lockdown, per i lavoratori transfrontalieri ed in particolare per coloro i quali siano rimasti bloccati in Italia per periodi superiori a 183 giorni nel corso del 2020 e che potrebbero aver pertanto acquisito la residenza fiscale nel nostro Paese.
Ad oggi l’interrogazione è ancora senza risposta. In mancanza di linee guida nazionali, riteniamo opportuno seguire le raccomandazioni emanate dall’OCSE.
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