A cura di Guido Ajello, Claudio Costantino e Arianna Mariani
Con la sentenza del 3 febbraio 2021 (cause riunite C-155/19 e C-156/19), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE” o “Corte”) ha affrontato la questione relativa alla natura giuridica della Federazione Italiana Giuoco Calcio (“FIGC” o “Federazione”) ed al conseguente obbligo di applicare le norme sull’evidenza pubblica contenute nel D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (“Codice Appalti”).
L’intervento della Corte è stato sollecitato dal Consiglio di Stato (cfr. ordinanza di rimessione del 12 febbraio 2019, n. 1006), chiamato a pronunciarsi sul ricorso in appello promosso dalla Federazione e dal Consorzio Ge.Se.Av. S.c. a r.l. per la riforma della sentenza del 13 aprile 2018 n. 4101, con cui il T.A.R. Lazio ha accolto le doglianze sollevate dalla società De Vellis Servizi Globali S.r.l. in relazione alla procedura negoziata per l’affidamento da parte della FIGC dei servizi di facchinaggio al seguito delle squadre nazionali di calcio.
Al fine di statuire in ordine alla sussistenza o meno dell’obbligo della FIGC di applicare le norme del Codice Appalti, il Consiglio di Stato ha rilevato inter alia che se, da un lato, la FIGC è un’entità di diritto privato dotata di personalità giuridica e le attività diverse dai compiti a valenza pubblicistica svolte dalla stessa rientrano nella sua capacità di diritto privato, dall’altro, al pari delle altre federazioni sportive nazionali, è sottoposta ai poteri di vigilanza del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (“CONI”).
Nello specifico, la Federazione è tenuta per legge a perseguire le finalità di interesse pubblico tassativamente elencate all’articolo 23 dello statuto del CONI approvato nella sua ultima versione con deliberazione del 4 maggio 2016, n. 1549 (“Statuto”), nonché a conformarsi agli indirizzi e ai controlli svolti da quest’ultimo.
Pertanto, a fronte di tali peculiarità, il giudice del rinvio ha rimesso alla Corte i seguenti quesiti:
(i) “se l’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera a), della direttiva 2014/24 debba essere interpretato nel senso che un’entità investita di compiti a carattere pubblico tassativamente definiti dal diritto nazionale può considerarsi istituita per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, ai sensi della disposizione sopra citata, quand’anche essa sia stata creata non già sotto forma di amministrazione pubblica, bensì di associazione di diritto privato, e alcune delle sue attività, per le quali essa è dotata di una capacità di autofinanziamento, non abbiano carattere pubblico”;
(ii) “se il secondo dei criteri alternativi previsti dall’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera c), della direttiva 2014/24 debba essere interpretato nel senso che la gestione di una federazione sportiva nazionale deve considerarsi posta sotto la vigilanza di un’autorità pubblica, tenendo conto, da un lato, dei poteri di cui tale autorità è investita nei confronti di una federazione siffatta e, dall’altro, del fatto che gli organi fondamentali di detta autorità sono composti in via maggioritaria da rappresentanti dell’insieme delle federazioni sportive nazionali.”
Al fine di rispondere al quesito (i), la Corte ha analizzato l’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera a), della Direttiva 2014/24/EU (recepito dall’articolo 3, comma 1, lettera d) punto 1), Codice Appalti), secondo cui un soggetto per poter essere individuato quale organismo di diritto pubblico deve essere istituito con la finalità di perseguire il soddisfacimento di esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale.
Con riferimento a tale requisito, la CGUE ha chiarito che “in Italia, l’attività di interesse generale costituita dallo sport viene realizzata da ciascuna delle federazioni sportive nazionali nell’ambito di compiti a carattere pubblico espressamente attribuiti a queste federazioni dall’articolo 15, comma 1, del D.Lgs. n. 242[1] e tassativamente elencati all’articolo 23, comma 1, dello Statuto del CONI[2]”.
Secondo i giudici europei, il requisito enunciato all’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera a), della Direttiva 2014/24/EU è soddisfatto da una federazione sportiva nazionale, qualora questa assicuri effettivamente la realizzazione dei compiti elencati all’articolo 23, comma 1, Statuto, a prescindere dalla circostanza che la stessa abbia la veste giuridica di associazione di diritto privato e che la sua creazione non derivi da un atto formale istitutivo di un’amministrazione pubblica.
Infatti, secondo la CGUE, “il tenore letterale dell’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, della direttiva 2014/24 non contiene alcun riferimento alle modalità di creazione o alla veste giuridica dell’entità in questione” e “la nozione di “organismo di diritto pubblico” deve ricevere un’interpretazione funzionale indipendente dalle modalità formali della sua attuazione, cosicché tale necessità osta a che venga operata una distinzione in base alla veste legale e al regime giuridico applicabile all’entità di cui trattasi in virtù del diritto nazionale ovvero in base alla forma giuridica delle disposizioni che istituiscono tale entità”.
Con riferimento alle ulteriori attività svolte dalla Federazione, diverse da quelle tassativamente elencate all’articolo 23, comma 1, dello Statuto, la Corte ha ritenuto “indifferente che un’entità, oltre alla propria missione di soddisfacimento di esigenze di interesse generale, realizzi altre attività” e che “il soddisfacimento delle esigenze di interesse generale costituisca soltanto una parte relativamente poco importante delle attività realmente intraprese da tale entità, nella misura in cui questa continui a farsi carico delle esigenze che è specificamente obbligata a soddisfare”.
In altri termini, accogliendo quanto rilevato dall’Avvocato Generale, la CGUE ha ritenuto che a nulla rileva la circostanza che la FIGC sia dotata di capacità di autofinanziamento, in quanto ciò risulta ininfluente sull’attribuzione delle proprie prerogative di carattere pubblicistico, con la conseguenza che la Corte, richiamando la consolidata giurisprudenza sul punto, ha confermato che il requisito teleologico può essere soddisfatto indipendentemente dalla propria veste formalmente privatistica.
Con riferimento al quesito (ii), la Corte ha analizzato l’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera c), della Direttiva 2014/24/EU (recepito dall’articolo 3, comma 1, lettera d), punto 3), Codice Appalti), secondo cui gli organismi di diritto pubblico devono alternativamente essere:
- “finanziati per la maggior parte dallo Stato, dalle autorità regionali o locali o da altri organismi di diritto pubblico (…)”;
- sottoposti “sotto la vigilanza di tali autorità o organismi”;
- dotati di un “organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza (…) costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, da autorità regionali o locali o da altri organismi di diritto pubblico”.
Rispetto alla fattispecie in esame, i giudici europei hanno analizzato il ruolo del CONI, verificando se lo stesso eserciti un controllo tout court sulla FIGC oppure un ruolo di indirizzo e coordinamento delle attività sportive, che risulterebbe irrilevante ai fini della gestione interna della Federazione.
Nello specifico, al fine di verificare se il CONI può esercitare un’influenza sulle decisioni delle federazioni sportive nazionali, anche in materia di appalti pubblici, la Corte ha ribadito la necessità di verificare la sussistenza di “un controllo attivo sulla gestione dell’organismo in questione idoneo a creare una dipendenza di quest’ultimo nei confronti dei poteri pubblici, equivalente a quella che esiste allorché è soddisfatto uno degli altri due criteri alternativi”.
A tal proposito, le federazioni sportive nazionali, pur essendo tenute ad esercitare l’attività sportiva e le relative attività di promozione in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI, beneficiano, sotto la vigilanza di quest’ultimo, di un’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione nell’ambito dell’ordinamento sportivo, fermo restando che il CONI esercita un controllo sui bilanci consuntivi e sull’equilibrio del bilancio di previsione delle stesse.
Dunque, non sembrerebbe che il CONI sia gerarchicamente sovraordinato rispetto alle federazioni, capace di controllare e dirigere la relativa gestione anche se, a tal riguardo, la CGUE ha rimesso al giudice nazionale il compito di verificare se “una federazione sportiva nazionale goda, in virtù del diritto nazionale, di autonomia di gestione” e se “la gestione di tale federazione può considerarsi posta sotto la vigilanza di un’autorità pubblica”; ciò, tenuto conto che “soltanto qualora da un’analisi complessiva dei poteri di cui tale autorità dispone nei confronti della federazione suddetta risulti che esiste un controllo di gestione attivo il quale, nei fatti, rimette in discussione l’autonomia di cui sopra fino al punto di consentire all’autorità summenzionata di influire sulle decisioni della federazione stessa in materia di appalti pubblici”.
Infine, in relazione alla partecipazione maggioritaria delle federazioni all’interno degli organi di amministrazione del CONI, la Corte ha altresì chiarito che tale circostanza “è rilevante soltanto qualora sia possibile dimostrare che ciascuna delle suddette federazioni, considerata singolarmente, è in grado di esercitare un’influenza significativa sul controllo pubblico esercitato da tale autorità nei confronti della federazione stessa, con la conseguenza che tale controllo venga neutralizzato e la federazione sportiva nazionale torni così ad avere il dominio sulla propria gestione, e ciò malgrado l’influenza delle altre federazioni sportive nazionali che si trovano in una analoga situazione”.
Dunque, con la pronuncia in commento, nel rimettere la questione al Consiglio di Stato, che dovrebbe assumere una decisione nella prossima udienza pubblica del 17 giugno 2021, i giudici europei hanno dichiarato che il criterio dell’influenza pubblica dominante può essere soddisfatto dal CONI, solo se quest’ultimo eserciti un controllo di gestione attivo sulle federazioni sportive, tale da influire sulle determinazioni di queste ultime anche in materia di appalti pubblici. In altri termini, il giudice nazionale – in linea con la giurisprudenza europea – dovrà verificare la sussistenza in concreto dei presupposti che consentono di qualificare la FIGC quale organismo di diritto pubblico.
[1] Articolo 15, comma 1, D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242: “Le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifici aspetti di tale attività. Ad esse partecipano società ed associazioni sportive e, nei soli casi previsti dagli statuti delle federazioni sportive nazionali in relazione alla particolare attività, anche singoli tesserati”.
[2] Articolo 23, comma 1, Statuto CONI: “Ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, e successive modificazioni e integrazioni, oltre quelle il cui carattere pubblico è espressamente previsto dalla legge, hanno valenza pubblicistica esclusivamente le attività delle Federazioni sportive nazionali relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione dei contributi pubblici; alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all’alto livello, alla formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi pubblici”.
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