Rimborso spese ai lavoratori in smart working: il parere dell’Agenzia delle Entrate

A cura di Marzio Scaglioni e Alice Martinis

Con la Risposta a Interpello n. 314 del 30 aprile 2021, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito al trattamento fiscale applicabile alle somme erogate a titolo di rimborso ai dipendenti in smart working, affermando che le somme erogate dal datore ai propri dipendenti, al fine di rimborsare i costi sostenuti dagli stessi nello svolgimento della propria attività, non costituiscono reddito in capo ai lavoratori, quando possono considerarsi come spese affrontate nell’esclusivo interesse del datore di lavoro stesso e a condizione che siano individuate sulla base di elementi oggettivi.

Nel dettaglio, la società istante intende siglare un accordo di secondo livello o adottare un regolamento volto a disciplinare il trattamento economico e normativo dei dipendenti in smart working. Per tenere indenni i lavoratori dalle spese di cui questi ultimi devono farsi carico per poter svolgere la propria attività, l’azienda intende concedere un rimborso per ogni giorno di lavoro da casa, determinato sulla base di parametri diretti ad individuare i costi risparmiati dalla società che, invece, sono stati sostenuti dal dipendente.

Fermo restando il principio di onnicomprensività del concetto di reddito da lavoro dipendente, l’Amministrazione Finanziaria, richiamando la Circolare 326/E/1997 e le Risoluzioni 178/E/2003 e 357/E/2007, ricorda che tuttavia vi sono delle deroghe a detto principio. In particolare, sono esclusi da imposizione fiscale, da un lato, quei rimborsi di spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore, anticipate dal dipendente (es. beni strumentali di piccolo valore, carta della stampante etc.), dall’altro, tutte le somme che, anche se corrisposte dal datore di lavoro, non costituiscono un arricchimento per il lavoratore (es. indennizzi quale mera reintegrazione patrimoniale). Infine non sono fiscalmente rilevanti, per il dipendente, le erogazioni effettuate per un esclusivo interesse del datore. Affinché tali rimborsi vengano esclusi dal reddito imponibile, in assenza di specifici criteri di quantificazione forfettaria dettati dal Legislatore (come avviene ad esempio per l’uso promiscuo dell’autovettura), devono essere determinati in base ad elementi oggettivi e documentalmente accertabili, predisposti ex ante per il tramite di accordo o regolamento aziendale.

L’Agenzia condivide la tesi dell’azienda sulla non imponibilità dei rimborsi in oggetto in quanto il criterio per determinare la quota dei costi da rimborsare ai dipendenti in smart working si basa su parametri diretti a individuare costi risparmiati dalla società che, invece sono stati sostenuti dal dipendente, potendosi ritenere tali rimborsi riferibili a consumi sostenuti nell’interesse esclusivo del datore.

Viceversa, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate in altri recenti interventi – da ultimo con la risposta a interpello n. 328 dell’11 maggio 2021 – le somme rimborsate ai dipendenti, determinate in maniera forfettaria, concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente. In termini generali quindi l’Agenzia non ha mutato orientamento ma ha dimostrato un’apertura in relazione a una tematica di interesse per numerose aziende, vista la crescente diffusione dello smart working.

Seppure quindi l’adozione di un criterio forfetario agevolerebbe le imprese e i lavoratori nella determinazione delle spese sostenute nell’ambito dello smart working, solamente l’utilizzo di un criterio basato su elementi oggettivi e documentalmente accertabili potrà evitare che tali somme concorrano alla determinazione del reddito da lavoro dipendente.

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Marzio Scaglioni

PwC TLS Avvocati e Commercialisti

Director