Risposta ad interpello n. 359/2021
A cura di Davide Accorsi e Giorgio Beretta
Con la risposta ad interpello n. 359 del 20 maggio 2021, l’Agenzia delle Entrate ha consentito anche ai soggetti passivi residenti in uno Stato membro dell’Unione europea (di seguito anche “UE”) diverso dall’Italia, che abbiano nominato un rappresentante fiscale nel territorio dello Stato o siano ivi identificati direttamente, di avvalersi della procedura di rimborso cd. “diretto” del credito IVA di cui all’art. 38-bis2 del d.P.R. n. 633/1972.
L’art. 38-bis2 del d.P.R. n. 633/1972 delinea una disciplina semplificata per il rimborso dell’IVA pagata in Italia, prevedendo per i soggetti passivi stabiliti in uno Stato membro UE diverso dall’Italia la possibilità di chiedere il rimborso dell’imposta a credito tramite apposito portale elettronico.
Tale procedura, che recepisce le indicazioni contenute nella Direttiva 2008/9/CE (emanata in sostituzione della precedente ottava direttiva 79/1072/CEE, sempre in materia di rimborsi IVA), non è tuttavia attivabile da soggetti residenti in altro Stato UE che dispongano di una stabile organizzazione in Italia.[1]
Inoltre, la menzionata procedura non è applicabile nel caso in cui il soggetto passivo residente in altro Stato membro UE abbia effettuato, nel periodo oggetto di rimborso, cessioni di beni o prestazioni di servizi rilevanti ai fini IVA in Italia, ad esclusione:
- delle cessioni di beni o prestazioni di servizi per i quali il debitore dell’imposta è il committente o cessionario;
- delle prestazioni di servizi di trasporto non imponibili ed operazioni ad esse accessorie;
- delle prestazioni di servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici dichiarati tramite il c.d. “Mini One Stop Shop”.
Nel caso in commento, il soggetto passivo non residente effettuava, nel periodo oggetto di rimborso, acquisti locali ed intracomunitari in Italia, nonché prestazioni per le quali il cliente era debitore dell’imposta in Italia.
In tali circostanze, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la possibilità al soggetto passivo non residente di chiedere il rimborso dell’IVA relativa alle fatture di acquisto locale tramite la procedura di cui al citato art. 38-bis2 del d.P.R. n. 633/1972[2], a patto che le fatture di acquisto (ovvero le bollette doganali, qualora si tratti di importazioni):
- siano intestate alla partita IVA del soggetto non residente;
- non confluiscano nelle liquidazioni periodiche e nella dichiarazione annuale presentata dal rappresentante fiscale.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, non è pertanto consentito utilizzare il portale elettronico per ottenere il rimborso dell’IVA relativa alle fatture passive intestate alla partita IVA italiana.
L’Agenzia delle Entrate, inoltre, precisa che, nel caso il soggetto passivo non residente, opti per richiedere in dichiarazione anche il rimborso dell’IVA relativa alle fatture intestate alla partita IVA estera, è opportuno che il rappresentante fiscale tenga distinte dette operazioni da quelle riferite alla partita IVA italiana, annotandole separatamente nei registri IVA e in un apposito modulo della dichiarazione annuale, similmente a quanto già accade con riguardo alle operazioni della casa madre non residente che confluiscono nella contabilità IVA della sua stabile organizzazione.
[1] In senso parzialmente difforme alla normativa IVA nazionale, Daimler e Widex, C-318/11, par. 37, laddove la Corte di Giustizia dell’UE non ritiene la procedura di rimborso “diretto” preclusa in virtù della mera esistenza di una stabile organizzazione del soggetto non residente nel territorio di altro Stato UE, dovendo altresì accertare la realizzazione effettiva di operazioni imponibili da parte della stabile organizzazione medesima.
[2] La risposta all’interpello in oggetto, di fatto, sorpassa la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 40 delle FAQ del 12 luglio 2010, pubblicata sul proprio sito nella sezione dedicata ai rimborsi. Con tale risposta, l’Agenzia delle Entrate aveva escluso la possibilità di avvalersi della procedura di rimborso “diretto” non solo per i soggetti UE dotati di una stabile organizzazione in Italia, ma anche per coloro che siano identificati ai fini IVA nel territorio dello Stato.
Invero, la stessa Corte UE, nella sentenza del 6 febbraio 2014, causa C-323/12 (E.ON Global Commodities, par. 45, richiamata nella risposta ad interpello in commento), aveva statuito che “il fatto che un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro disponga di un rappresentante fiscale identificato ai fini dell’IVA in un altro Stato membro non può essere equiparato all’acquisizione di un centro di attività in tale Stato membro” ai fini dell’inapplicabilità della procedura di rimborso “diretto” sopra descritta. Analoghi principi erano stati espressi dalla Corte UE nella sentenza dell’11 giugno 2020, causa C-242/19 (CHEP Equipment Pooling, par. 57), con riferimento ai soggetti UE non residenti ma identificati direttamente ai fini IVA in altro Stato UE.
Alle statuizioni dell’organo di giustizia euro-unitario si era recentemente allineata la Corte di Cassazione (cfr., ordinanza n. 21684 dell’8 ottobre 2020), la quale aveva sancito, a sua volta, che il diritto al rimborso IVA in favore dei soggetti passivi residenti in altri Stati UE non può essere negato qualora tali soggetti abbiano nominato un rappresentante fiscale in Italia.
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