Le Sezioni Unite tornano a pronunciarsi sull’insolvenza transfrontaliera

A cura di Cristian Sgaramella, Michele Giuliani e Carolina Notario

Con la recente ordinanza n. 10356 del 20 aprile 2021, le Sezioni Unite sono tornate a pronunciarsi in merito all’insolvenza transfrontaliera, in particolare affrontando il tema della competenza giurisdizionale.

L’intervento della Suprema Corte prende origine dal ricorso promosso avverso la sentenza di rigetto emanata dalla Corte di Appello di Roma, ex art. 18 L.F.

Nel dettaglio, secondo la linea difensiva della ricorrente, in virtù dei principi dettati dal Regolamento (CE) n. 1346/2000, la Corte di Appello avrebbe errato nell’accertare la giurisdizione italiana competente ad avviare la procedura concorsuale in quanto la società, dichiarata fallita, aveva (i) trasferito la propria sede legale a Londra e, parallelamente, (ii) cessato qualsiasi tipo di attività sul territorio nazionale, provvedendo, anche, alla cancellazione dal Registro delle Imprese.

Le eccezioni sollevate offrono alla Suprema Corte lo spunto per tornare ad esprimersi sui principi dettati a livello europeo e, soprattutto, la loro applicazione pratica. 

In primo luogo, la fattispecie è stata ricondotta nel corretto quadro normativo di riferimento, ossia il Regolamento (UE) n. 848/2015, in quanto applicabile a tutte le procedure concorsuali aperte a far data dal 26 giugno 2017.

Tale precisazione assume un valore nevralgico in relazione alla perimetrazione della giurisdizione competente in virtù del criterio dettato dalla normativa comunitaria ai sensi dell’art. 3 del Regolamento (UE).

Più precisamente, la norma in commento, mutuando la precedente disciplina, dispone la competenza ad aprire la procedura principale di insolvenza in capo ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il “centro di interessi principale del debitore” c.d. COMI (center of main interests), riproponendo, altresì, la presunzione di coincidenza tra COMI e sede legale.

A riguardo, la Suprema Corte evidenzia  le rilevanti novità apportate dalla disciplina da ultimo entrata in vigore, laddove inserisce la definizione di COMI, considerato quale “luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e (soprattutto) riconoscibile dai terzi” e delimita il perimetro applicativo della presunzione nei soli casi in cui la domanda di apertura della procedura di insolvenza sia intercorsa decorsi tre mesi (periodo ritenuto sospetto) dal trasferimento della sede legale in altro Stato membro.

Delineato il quadro normativo, le Sezioni Unite, nel motivare la propria decisione, si sono spinte oltre alla mera applicazione del dato letterale della normativa in commento, affermando che la detta presunzione non costituisce un criterio dogmatico e che essa può essere superata dando prova del fittizio trasferimento della sede legale.

L’individuazione del COMI, secondo gli Ermellini, deve infatti avvenire seguendo valutazioni pragmatiche e tramite un accertamento concreto dell’effettivo luogo in cui si trova il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa della società, superando, così, le mere indicazioni ufficiali.

Infine, la Cassazione conclude considerando “vano insistere sull’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese” in quanto, ai fini dell’accertamento del fittizio trasferimento della sede legale, non occorre una preventiva pronuncia del giudice del registro che ripristini, sotto il profilo formale, la realtà effettiva.

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