COVID-19 – Incostituzionale la seconda proroga ex 54-ter del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18

A cura di Cristian Sgaramella, Andrea Tomasicchio e Sara Plantone

Con sentenza n.128/2021 del 22 giugno 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la seconda proroga del termine di sospensione di qualsivoglia attività prevista nelle esecuzioni immobiliari aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore disposta dal 1° gennaio al 30 giugno 2021 con il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (art. 54 – ter).

Nello specifico, con ordinanza del 13 gennaio 2021 (reg. ord. n. 40 del 2021) è stato sottoposto al vaglio della Consulta l’art. 54-ter del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, relativo a “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, che era stato introdotto dalla legge di conversione 24 aprile 2020, n. 27 e modificato dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137.

L’articolo 54-ter del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, rubricato “Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa”, ha previsto, su tutto il territorio nazionale, l’integrale sospensione delle procedure esecutive immobiliari aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore esecutato per la durata complessiva di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione del 24 aprile 2020.

È stato stabilito un primo termine di sospensione sino al 31 dicembre 2020, successivamente prorogato al 30 giugno 2021.

Il dossier parlamentare si è occupato di definire il concetto di “abitazione principale” quale luogo in cui la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari dimorano abitualmente, ai sensi dell’art. 10, comma 3-bis del D.P.R. n. 917 del 1986.

A sollevare la questione di legittimità della seconda proroga del termine sono stati sia il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto sia il Tribunale di Rovigo, rimettendo le proprie ragioni in virtù dei seguenti articoli della Costituzione: art. 3, co. II, che regola il principio di uguaglianza sostanziale, art. 24, co. I, che sancisce l’inviolabilità del diritto alla difesa, art. 111, co. II, che inerisce il principio del giusto processo) e art. 117, co. I, che consacra la potestà legislativa esercitata dallo Stato e dalle Regioni.

A detta dei Tribunali in menzione, l’art. 54-ter contrasterebbe con i principi costituzionalmente consacrati, comportando una sorta di limitazione del diritto di azione del creditore “non giustificata né dalla crisi economica né dall’esigenza di tutela della salute, bensì finalizzata a una indiscriminata politica di favore” del diritto dei debitori esecutati all’abitazione. È stato richiamato anche l’art. 47, co. II, della Costituzione, che regolando il principio della tutela del risparmio, ha suscitato ipotesi di dubbia compatibilità attese le difficoltà riscontrate dai creditori nel recupero di quanto scritturato in sofferenza che inevitabilmente potrebbero riverberarsi sulle condizioni di accesso della generalità dei cittadini al credito bancario, rendendole più rigorose. Ed infine, sono stati menzionati l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, che declamano rispettivamente il diritto ad un equo processo ed il diritto e la protezione della proprietà dei beni di ogni persona fisica e giuridica.

La Corte, con sentenza n. 128 del 23 giugno 2021, ha ritenuto, nell’ambito della seconda proroga fissata, non adeguatamente bilanciati e proporzionati la tutela del debitore e quella del creditore in sede esecutiva rispetto a quanto verificatosi nell’ambito dei giudizi civili, che, a seguito della sospensione generalizzata dei termini, sono proseguiti seppur nelle modalità compatibili nel rispetto delle normative previste per il contrasto alla diffusione della pandemia da Covid-19.

Con riguardo al secondo termine di proroga della sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, a detta della Corte, non è stato individuato un criterio selettivo tale da giustificare il protrarsi dell’interruzione di qualsiasi attività volta alla messa in vendita dell’immobile oggetto della PEI.

La Corte Costituzionale, nella pronuncia, ha confermato la natura di <diritto sociale> del diritto all’abitazione e stabilito, in ogni caso, che “resta ferma in capo al Legislatore, ove l’evolversi dell’emergenza epidemiologica lo richieda, la possibilità di adottare le misure più idonee per realizzare un diverso bilanciamento, ragionevole e proporzionato, tra il diritto del debitore all’abitazione e la tutela giurisdizionale in sede esecutiva dei creditori”.

La pronuncia di incostituzionalità ha consentito di ottenere una sorta di tutela del creditore rimasta paralizzata per più di un anno.

Alla luce di quanto innanzi premesso, la pronuncia in parola ha inteso equilibrare le contrapposte posizioni di debitore e creditore, atteso che in una prima fase il legislatore aveva riconosciuto una maggiore tutela nei confronti del soggetto esecutato a discapito degli interessi e delle pretese creditorie, odiernamente tornate ad essere in auge.

In ragione di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, un primo interrogativo da porsi è quello relativo all’individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine dei sei mesi per il deposito del ricorso per la riassunzione della procedura esecutiva sospesa ai sensi dell’art. 627 c.p.c., in quanto per effetto quindi della declaratoria di incostituzionalità, la sospensione ex lege dovrebbe ritenersi conclusa al 31 dicembre 2020, equivalente al termine ultimo della prima proroga concessa.

Da segnalare sul punto, un primo intervento della Sezione Esecuzioni Immobiliari del Tribunale di Roma (Circolare del 24/06/2021) con il quale si è stabilito che “la sospensione ex lege deve ritenersi cessata alla data del 31/12/2020”.

Va da sé che per i Giudici del Tribunale capitolino l’istanza di riassunzione debba necessariamente essere depositata entro il termine del 30 giugno 2021, vale a dire 6 mesi dopo la cessazione della prima sospensione.

Tuttavia, sull’argomento si sono pronunciati i Magistrati della Corte di Cassazione facenti parte del Comitato scientifico della Rivista In Executivis, i quali, interessati della questione dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, hanno evidenziato che “l’effetto della pronuncia della Consulta non è, neanche in via indiretta, quello di far retroagire il dies a quo della riassunzione al 31/12/2020, bensì quello di impedire l’applicazione dell’art. 54-ter dal 23/6/2021”.

A detta loro, il 23 giugno 2021, giorno successivo del deposito della sentenza della Corte Costituzionale, dovrebbe configurarsi quale dies a quo, dal quale far decorrere il termine di sei mesi di cui all’art. 627 c.p.c.

Indubbiamente, il deposito del ricorso per la riassunzione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, ex art. 627 c.p.c., effettuato entro il 30 giugno 2021, consentirebbe il dissiparsi di qualsivoglia perplessità in merito.

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