A cura di Carlo Romano, Giorgio Massa e Maurizio Foti
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano con la sentenza n. 2868, pubblicata il 24 giugno 2021, in una fattispecie in cui il contribuente non aveva predisposto gli oneri documentali in materia di prezzi di trasferimento ai sensi dell’art. 26 del D.L. 78/2010, ha comunque annullato le sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Entrate per una rettifica dei prezzi infragruppo riconoscendo come la complessità della materia del transfer pricing possa determinare, nell’applicazione pratica, delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa di riferimento (ovvero l’art. 110 comma 7 del Tuir).
I fatti di causa e la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Milano
All’esito di una verifica fiscale avviata su diversi periodi di imposta, l’Agenzia delle Entrate emetteva nel corso degli anni i relativi avvisi di accertamento nei confronti di una società italiana (di seguito anche “contribuente”) facente parte di un noto Gruppo multinazionale, leader mondiale nella produzione industriale di cioccolato.
Con tali avvisi di accertamento, l’Agenzia delle Entrate:
- contestava la congruità, rispetto all’arm’s lenght principle, dei prezzi di vendita dei prodotti applicati dalla detta Società italiana alle operazioni intercorse con la propria consociata belga e
- irrogava delle sanzioni pari al 90% della maggiore imposta accertata atteso che la contribuente – pur essendo in possesso dello studio di transfer pricing e della relativa analisi di benchmark predisposti dal Gruppo in conformità alle Linee Guida OCSE e ritenuti idonei dall’Agenzia delle Entrate – non aveva predisposto gli oneri documentali in materia di prezzi di trasferimento ai sensi dell’art. 26 del D.L. 78/2010 (quindi nei confronti della Società non veniva applicato il regime premiale della penalty protection).
La contribuente presentava così ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano (CTP) eccependo anzitutto l’illegittimità degli avvisi di accertamento nel merito della questione di transfer pricing. Tale questione, tuttavia, si risolveva in sede di procedura amichevole MAP (più precisamente in sede di procedura ex artt. 4 e 6 della Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/436/CEE del 23 luglio 1990 eseguita con legge di ratifica del 22 marzo 1993, n. 99 – nel seguito “Convenzione Arbitrale”) con il raggiungimento di un accordo, tra le competenti Autorità finanziarie italiana e belga, che portava ad un abbattimento della pretesa dell’Erario italiano di circa l’85%.
Pertanto, la Società – al fine di implementare l’anzidetto accordo MAP – rinunciava al giudizio limitatamente alla maggiore imposta derivante dalla rettifica dei prezzi di trasferimento, ma portava avanti il giudizio limitatamente alla questione inerente l’illegittimità delle sanzioni irrogate.
In merito a quest’ultima, la Società – oltre a mettere in evidenza sia l’idoneità della documentazione di transfer pricing predisposta dal Gruppo che la ratio del regime premiale della penalty protection e oltre ad eccepire la violazione di principi generali quali quello di buona fede, trasparenza e collaborazione – eccepiva anche le obiettive condizioni di incertezza della normativa di riferimento sul transfer pricing (i.e. l’art. 110, co. 7, del Tuir).
In particolare la Società – oltre a mettere in risalto la propria buona fede, avendo tenuto una condotta ineccepibile in quanto improntata alla massima collaborazione e trasparenza nei confronti dell’Ufficio il quale, proprio grazie a tale condotta della Società e alla documentazione prodotta da quest’ultima, aveva potuto reperire tutte le informazioni utili a verificare la politica sui prezzi di trasferimento adottata dalla contribuente – evidenziava come il transfer pricing fosse una materia evidentemente complessa e che la stessa, non rappresentando una scienza esatta, potesse portare a differenti – ma ugualmente affidabili – valori di libera concorrenza.
La veridicità di tali argomentazioni veniva supportata anche dall’esito dell’Accordo MAP anzidetto che – avendo portato ad una riduzione di circa l’85% dell’imponibile e dell’imposta accertati dall’Ufficio (ergo avendo messo in risalto l’erroneità degli avvisi di accertamento impugnati) – dimostrava chiaramente come il valore di libera concorrenza potesse variare nettamente. Tutto questo quindi non poteva (e non può) che rendere evidente la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla normativa di riferimento per cui il contribuente ha il diritto ad ottenere la disapplicazione integrale delle sanzioni.
Ebbene, tale tesi è stata confermata dalla CTP di Milano che, con la sentenza qui in commento, ha riconosciuto come il regime premiale della penalty protection – non ritenuto dai giudici applicabile al caso di specie – “non escluda istituti analoghi di carattere più generale, come quello previsto dall’art. 10 comma 3 dello Statuto del contribuente a mente del quale le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria”. Infatti secondo la Corte “la complessità della materia transfer pricing e il fatto di non costituire una scienza esatta (potendo tale materia portare non a un singolo valore di libera concorrenza bensì ad una differente gamma di potenziali valori egualmente affidabili ed accettabili) determinano nell’ applicazione pratica obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa di riferimento…come appare di tutta evidenza nel caso di specie col quasi completo abbattimento della pretesa erariale”.
Conclusioni
Tale sentenza rappresenta una assoluta novità in giurisprudenza poiché riconosce, per la prima volta, che le sanzioni derivanti da una rettifica dei prezzi di trasferimento – oltre che sulla base dello specifico regime premiale di cui all’art. 1, co. 6, del D.Lgs 471/97 previsto in materia di transfer pricing – possono essere disapplicate anche sulla base di principi aventi portata più generale. Tra questi, vi sono le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito della norma tributaria soprattutto poi quando intervengono circostanze che rendono evidente l’erroneità della pretesa erariale. La speranza è che tale sentenza non rimanga un unicum ma che, al contrario, possa fare da apripista ad un consolidato orientamento giurisprudenziale.
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