A cura di Luca Spada e Alice Minisini
“Allo stato attuale del diritto dell’Unione, i gestori delle piattaforme non effettuano essi stessi, in linea di principio, una comunicazione al pubblico dei contenuti protetti dal diritto d’autore che i loro utenti mettono illecitamente in rete. Tuttavia, detti gestori effettuano una comunicazione siffatta in violazione del diritto d’autore se contribuiscono, al di là della semplice messa a disposizione delle piattaforme, a dare al pubblico accesso a tali contenuti”[1].
Questo, in breve, l’indirizzo della Corte di Giustizia dell’Unione europea pronunciatasi con sentenza dello scorso 22 giugno nelle cause riunite C-682/18 YouTube e C-683/18 Cyando[2] (rispettivamente, “CGUE” o “Corte”, e “Sentenza”).
Oggetto di entrambe le controversie è rappresentato dalla violazione del diritto d’autore perpetrata mediante il caricamento illecito e la conseguente comunicazione al pubblico non autorizzata di contenuti protetti sulle piattaforme YouTube e Uploaded: nel primo caso, un produttore musicale, ha citato in giudizio dinnanzi ai giudici tedeschi la celebre piattaforma di video sharing americana e la sua rappresentante legale Google, in merito alla messa in rete nel 2008 di vari fonogrammi sui quali avrebbe vantato dei diritti; nel secondo, l’editore Elsevier ha agito, sempre in Germania, nei confronti della società hi-tech svizzera in merito alla diffusione non autorizzata da parte di alcuni utenti di materiale protetto sulla piattaforma di hosting Uploaded gestita dalla stessa Cyando.
Investito della decisione in merito alle due cause, il Bundesgerichtshof (“BGH”), la Corte di giustizia federale tedesca, ha a sua volta adito la Corte con diverse questioni giudiziali affinché questa fornisse chiarimenti, in particolare, sulla possibilità di imputare ai gestori delle piattaforme una qualche responsabilità derivante dalla pubblicazione non autorizzata tramite i loro portali di contenuti protetti da parte dei loro utenti.
La CGUE ha fondato la propria decisione sul regime normativo vigente all’epoca dei fatti – costituito dalla Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico (“Direttiva 2000/31”)[3], dalla Direttiva 2001/29/CE sul diritto d’autore (“Direttiva 2001/29”)[4], nonché dalla Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (“Direttiva 2004/48“)[5] (non potendo d’altra parte considerare la Direttiva (UE) 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale (“Direttiva 2019/790”)[6], entrata in vigore solo successivamente al verificarsi degli episodi oggetto di contestazione) – rilevando, inter alia, che:
- in primo luogo, il gestore di una piattaforma di sharing/hosting su cui gli utenti abbiamo caricato illecitamente contenuti protetti compie esso stesso una “comunicazione al pubblico” di tale materiale ai sensi della Direttiva 2001/29 soltanto laddove intervenga con piena cognizione per dare ai suoi utenti accesso a un’opera protetta e, in particolare modo, in quei casi in cui in assenza di tale intervento, gli user non avrebbero potuto fruire dell’opera diffusa. A questo proposito, la CGUE ha quindi ritenuto che un gestore non potrà considerarsi artefice di una comunicazione al pubblico a meno che esso contribuisca – al di là della semplice messa a disposizione del portale – a dare accesso ai contenuti in violazione del diritto d’autore; ciò che avverrebbe nelle ipotesi in cui il provider del caso sia concretamente al corrente della messa a disposizione non autorizzata del contenuto protetto sulla piattaforma e abbia assunto comportamenti che rendano evidente un certo indice di intenzionalità (tra cui, ad esempio, la mancata sollecitudine a rimuovere il tal contenuto, l’astensione dal bloccarne l’accesso o dal mettere in atto le misure tecniche che ci si può attendere da un operatore normalmente diligente per contrastare in modo credibile e efficace le violazioni del copyright sulla piattaforma, la partecipazione alla selezione di contenuti protetti condivisi, o, ancora, la fornitura di strumenti destinati alla condivisione illecita);
- in seconda battuta, il gestore può beneficiare del regime di esonero dalla responsabilità di cui alla Direttiva 2000/31 ove svolga un ruolo neutro – ossia tecnico, automatico e passivo – implicante la mancanza di conoscenza o controllo sui contenuti ospitati, rimanendone invece escluso nelle ipotesi in cui fosse al corrente degli atti illeciti concretamente posti in essere dai suoi utenti.
In ragione di quanto sopra e sulla base dello stato del diritto dell’Unione alla data dei fatti, la Corte ha pertanto escluso che i gestori effettuino una comunicazione al pubblico dei contenuti protetti da diritto d’autore che i loro utenti mettono illecitamente a disposizione sulle piattaforme – potendo quindi di norma beneficiare dell’applicazione del safe harbor previsto dalla Direttiva 2000/31 – salvo siano i provider stessi a contribuire, al di là della semplice messa a disposizione dei portali, a dare accesso al pubblico a siffatti contenuti. Pur rinviando al giudice nazionale la soluzione delle dispute, il ragionamento fatto proprio dalla CGUE avrebbe quindi escluso eventuali responsabilità in capo a YouTube e Cyando.
Ad ogni buon conto, si ribadisce come le questioni pregiudiziali di cui alla Sentenza sono state risolte senza che la CGUE abbia potuto tenere conto del regime – entrato in vigore successivamente all’epoca dei fatti – istituito dalla Direttiva 2019/790, che prevede un nuovo modello di responsabilità specifico delle piattaforme di condivisione per le opere messe illecitamente in rete da parte degli utenti, ai sensi del quale i provider sono considerati autori o partecipanti della comunicazione al pubblico, dovendone se del caso rispondere direttamente. Il termine a disposizione degli Stati Membri per recepire le disposizioni della nuova Direttiva è peraltro scaduto lo scorso 7 giugno 2021.
[1] Corte di Giustizia dell’Unione europea, Comunicato stampa n. 108/21, disponibile al seguente link: https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2021-06/cp210108it.pdf.
[2] Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sentenza della Corte (Grande Sezione), Cause riunite C-682/18 Frank Peterson contro Google LLC, YouTube Inc., YouTube LLC, Google Germany GmbH e C-683/18 Elsevier Inc. contro Cyando AG, 22 giugno 2021, disponibili al seguente link https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=7C48AA55C74D7FC81AFDD41F7206C913?text=&docid=243241&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=1434811.
[3] Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno.
[4] Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione.
[5] Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà Intellettuale.
[6] Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti
connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE.
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