A cura di Francesca Tironi, Lorenzo Vassalli e Paola Dell’Utri
Con Ordinanza n. 16917/2021 la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha affrontato il tema della validità dell’accordo collettivo di secondo livello e della rinuncia, ivi prevista, a parte dell’indennità sostitutiva del preavviso di un gruppo di lavoratori coinvolti da una procedura di licenziamento collettivo, affermando come (i) l’obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso ben possa costituire oggetto di accordo e di rinuncia; e (ii) l’indennità sostitutiva sia suscettibile di essere oggetto di definizione concordata tra le parti sociali ove queste siano chiamate ad operare a livello di contrattazione collettiva c.d. di prossimità, ovverosia nel contesto di una crisi aziendale, al fine di mediare per assicurare la prosecuzione dell’attività d’impresa e la conservazione dei livelli di occupazione, nell’ambito della procedura di cui all’art. 8 del D.L. 138/2011, come convertito dalla L. 148/2011.
Venendo al merito della vicenda, un lavoratore licenziato nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo riceveva una somma pari a tre mensilità di retribuzione a titolo di indennità sostitutiva del preavviso in forza dell’accordo sindacale raggiunto all’esito della procedura stessa, mentre il CCNL applicato prevedeva per casi simili sei mensilità. Egli, dunque, agiva per la condanna del datore di lavoro al pagamento della differenza spettante in base al CCNL, adducendo come motivazione che tale accordo sindacale non poteva derogare in peius alle previsioni della contrattazione collettiva nazionale rispetto ai trattamenti economici e normativi, ivi compresa l’indennità sostitutiva del preavviso.
In precedenza, tanto il Tribunale di primo grado quanto la Corte d’Appello di Firenze (v. Corte App. Firenze, Sent. n. 907/2017), accogliendo le doglianze del lavoratore, avevano ritenuto la contrattazione decentrata non idonea a modificare la disciplina del CCNL in riferimento ai trattamenti economici e normativi ivi previsti, ed avevano escluso nella specie l’applicabilità dell’articolo 8 del D.L. 138/2011 sugli accordi collettivi di prossimità, reputando impossibile ricomprendere l’accordo aziendale che riduce il numero di mensilità da attribuire ai lavoratori licenziati tramite la procedura collettiva tra gli accordi collettivi (c.d. di prossimità) cui la legge attribuisce l’idoneità a derogare alle disposizioni di legge e della contrattazione collettiva nazionale.
Il datore di lavoro soccombente proponeva quindi ricorso innanzi alla Suprema Corte, che si è al riguardo pronunciata con l’ordinanza in commento. Con l’ordinanza n. 16917/21 indicata in epigrafe, la Corte di Cassazione ha cassato senza rinvio la decisione della Corte di merito, osservando che la procedura oggetto di giudizio risulta riconducibile all’ambito della contrattazione collettiva di prossimità di cui al D.L. 138/2011 e successive modifiche e, pertanto, pienamente idonea ad incidere in maniera peggiorativa rispetto alle previsioni di legge e della contrattazione collettiva nazionale.
L’elemento di novità su cui interessa porre l’accento consiste nel fatto che gli Ermellini hanno sì ricordato come l’elenco di materie nell’ambito delle quali la contrattazione di prossimità possa derogare alle disposizioni di legge e di CCNL, contenuto nel comma 2 del citato articolo 8, sia tassativo (in linea con la Sentenza della Corte Costituzionale n. 221/2012), ma che bisogna ricordare che fra le ipotesi contemplate da questo comma vi rientra la “gestione delle crisi aziendali ed occupazionali”. Nell’ambito di questa locuzione legislativa, secondo il ragionamento dei Giudici della Cassazione, non può non considerarsi l’accordo collettivo che, come quello in esame e sempre nel rispetto – da verificare caso per caso – delle esigenze di rappresentatività previste dallo stesso art. 8 del D.L. 138/2011, vada a regolare le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro nell’ambito di una severa e ben nota situazione di crisi aziendale ed occupazionale (a maggior ragione ove non sia oggetto di disputa il fatto che tale accordo si mantiene in quella prospettiva di maggior tutela dei lavoratori, essendo finalizzato ad assicurare un minor costo sociale dell’operazione nonché alla salvaguardia della prosecuzione dell’attività di impresa e della relativa occupazione, in linea con le finalità cui sono dirette tanto la normativa in tema di contrattazione di prossimità quanto quella in tema di licenziamento collettivo).
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