A cura di Carlo Romano, Marco Longobardi e Giulia Faustini
Lo scorso 22 settembre la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla vincolatività della sentenza penale di assoluzione nell’ambito del giudizio tributario avente ad oggetto i medesimi fatti (ordinanza n. 25632/2021), evidenziando due tematiche importanti e strettamente connesse tra loro: da un lato, la non assoggettabilità del giudicato esterno ad alcuna preclusione processuale; dall’altro, più in generale, la circostanza che l’accertamento sui medesimi fatti operato in sede penale vincola il giudice tributario.
I fatti di causa e le contestazioni in sede di legittimità
Nel caso oggetto dell’ordinanza a commento, l’Agenzia delle Entrate emetteva cinque avvisi di accertamento (a seguito delle verifiche concluse dalla Guardia di Finanza con Processo Verbale di Constatazione), rettificando in aumento il reddito, ai fini ILOR, dichiarato da una società per gli anni di imposta 1983 – 1987. Tale società, dopo aver perso nell’ambito del giudizio di primo grado dinanzi la Commissione Tributaria di Bolzano, proponeva appello dinanzi la Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano, producendo con il deposito delle memorie illustrative la sentenza penale definitiva con cui il giudice penale si era pronunciato per l’assoluzione (del rappresentante legale della società) con riferimento ai medesimi fatti dibattuti in sede tributaria. A tal riguardo, la Commissione Tributaria di secondo grado accoglieva l’appello della contribuente, ritenendo che il giudicato penale (in quel caso favorevole) dovesse essere esteso anche al giudizio tributario vertente sui medesimi fatti. L’Agenzia delle Entrate proponeva, quindi, ricorso per cassazione, lamentando: 1) la nullità della sentenza per motivazione apparente, non essendo possibile individuarne la ratio decidendi; 2) la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo i giudici di appello basato la propria decisione su una sentenza (quella penale) prodotta prima dell’udienza (con il deposito delle memorie conclusive); 3) la violazione dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992, poiché, nello specifico, il giudicato penale non poteva avere efficacia nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non avendo quest’ultima partecipato al giudizio nell’ambito del quale tale sentenza era stata emessa e, più in generale, in quanto “l’efficacia vincolante del giudicato penale non potrebbe giammai operare automaticamente nel processo tributario”.
L’analisi svolta dalla Corte di Cassazione
I giudici di legittimità hanno circoscritto la questione oggetto di causa al “rilievo da assegnare, nel processo tributario, al giudicato penale sopravvenuto in corso di causa”. Preliminarmente, infatti, la Corte si è pronunciata in ordine alla tempestività della produzione documentale della sentenza (avvenuta “quasi al termine del giudizio di secondo grado”), conformandosi all’ormai consolidato orientamento secondo il quale “l’eccezione di giudicato esterno non è soggetta a preclusioni per quanto riguarda la sua allegazione in sede di merito in quanto prescinde da qualsiasi volontà dispositiva della parte e in considerazione del suo rilievo pubblicistico, è rilevabile d’ufficio” (Cass. 48/2021; conforme a Cass. 27161/2018).
Secondo tale orientamento l’accertamento del giudicato esterno (al pari di quello interno) non è assoggettato alle regole che disciplinano le preclusioni processuali, in quanto tale giudicato serve a rimuovere situazioni di incertezza e, pertanto, il giudice è sempre tenuto a rilevarne la sussistenza anche d’ufficio, non potendo essere vincolato, a tal fine, dalla posizione assunta dalle parti nel giudizio.
La decisione della Corte di Cassazione
L’ordinanza in parola ha il pregio di evidenziare che l’accertamento di fatto, effettuato in sede penale con sentenza passata in giudicato, se effettuato in maniera “critica” appare sufficiente a vincolare il giudice tributario e non è subordinato a decadenze e preclusioni istruttorie. Infatti, la sentenza di assoluzione trova efficacia in sede tributaria qualora vi sia una esplicita e appunto non acritica valutazione da parte della Commissione Tributaria in merito ai medesimi fatti riscontrati in sede penale e tributaria. Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate non ha contestato tale circostanza né ha, quindi, provato che i fatti sui quali vertevano gli accertamenti (penale e tributario) erano distinti gli uni dagli altri. Ebbene, con riferimento al vizio di motivazione apparente eccepito dall’Agenzia delle Entrate, i giudici di legittimità hanno confermato la decisione di secondo grado impugnata in quanto: a) sussiste un esplicito riferimento alla valutazione effettuata dai giudici di appello secondo i quali “i fatti contestati dalla Guardia di Finanza sono i medesimi su cui si è pronunciato il giudice penale con la formula assolutiva «perché il fatto non sussiste»”; b) l’Agenzia delle Entrate non ha prodotto alcuna prova contraria sulla eventuale difformità dei fatti accertati in sede penale e tributaria.
Conclusioni
La Suprema Corte con l’ordinanza 25632/2021 ha puntualmente statuito che la sentenza penale di assoluzione ha piena efficacia nel processo tributario qualora i fatti contestati in entrambi i giudizi (penale e tributario) siano i medesimi (in senso conforme: Cass. ord. n. 30941/2019 e Cass. ord. n. 16262/2017). Per completezza, si rappresenta che la stessa Suprema Corte – in maniera più estensiva – ha precedentemente statuito che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario emessa con la formula “perché il fatto non sussiste” non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario seppure i fatti accertati in sede penale siano i medesimi emersi in sede di accertamento tributario. Invero detta sentenza di assoluzione deve essere presa in considerazione come “possibile” fonte di prova ed il “giudice tributario nell’esercizio dei propri poteri di valutazione deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare” (Cass. ord. n. 34219/2019 conforme a Cass. ord. n. 17258/2019 e Cass sent. n. 10578/2015). Si evidenzia infine che spesso le verifiche fiscali e gli accertamenti tributari traggono origine dai medesimi fatti contestati in sede penale e “trasfusi” in sede tributaria con il rinvio a verbali (o stralci) di interrogatori e sommarie informazioni acquisiti in sede penale. Ebbene, la difficoltà per il contribuente di difendersi in sede tributaria qualora non abbia avuto accesso (o abbia avuto un accesso limitato) ai suddetti verbali, verrebbe certamente attenuata qualora – come rappresentato nell’ordinanza in parola – l’accertamento sui medesimi fatti contestati in sede penale conclusosi con una pronuncia penale di assoluzione possa avere efficacia vincolante in sede tributaria (anche senza la valutazione degli ulteriori elementi di prova). Tanto dovrebbe parimenti valere qualora fosse pronunciato un provvedimento di archiviazione penale, ovviamente, in relazione ai medesimi fatti oggetto del processo tributario, non potendosi condividere in molte circostanze quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il provvedimento di archiviazione di un processo penale non impedisce che lo stesso fatto sia diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice civile o tributario, soprattutto per gli effetti aberranti ai quali può condurre l’oramai anacronistico e inefficiente doppio binario.
Alla luce di quanto rappresentato sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, al fine di definire l’estensibilità degli effetti del provvedimento di archiviazione penale nel giudizio tributario qualora i fatti di causa siano i medesimi nei giudizi (penale e tributario) come confermato dalla Suprema Corte, da ultimo, nell’ordinanza n. 25632/2021.
Let’s Talk
Per una discussione più approfondita ti preghiamo di contattare:
PwC TLS Avvocati e Commercialisti
Partner
PwC TLS Avvocati e Commercialisti
Director