A cura di Guido Ajello, Claudio Costantino e Arianna Mariani
Con la sentenza 23 novembre 2021, n. 218 (“Sentenza”), pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 24 novembre 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 177, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, (“Codice Appalti”), disciplinante il regime degli affidamenti disposti dai concessionari di lavori, servizi pubblici e forniture, per violazione degli articoli 3, comma 1, e 41, comma 1, Costituzione.
Nello specifico, l’articolo 177, comma 1, Codice Appalti, stabiliva che “i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica (…)” e, inoltre, che la restante quota del venti per cento “può essere realizzata da società in house di cui all’articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. Per i titolari di concessioni autostradali, ferme restando le altre disposizioni del presente comma, la quota di cui al primo periodo è pari al sessanta per cento”.
La menzionata disposizione, al comma 2, precisava altresì che “Le concessioni di cui al comma 1 già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro il 31 dicembre 2022. Le concessioni di cui al comma 1, terzo periodo, già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro il 31 dicembre 2020”.
La complessa applicazione della disposizione era già nota al Legislatore, tanto da indurre lo stesso, per esigenze di speditezza e semplificazione, a prevedere con il Decreto legge 31 maggio 2021 n. 77, convertito con modificazioni, dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108, (cd. “Semplificazioni-bis”), la proroga di un anno, dal 31 dicembre 2021 al 31 dicembre 2022, dell’entrata in vigore del cd. obbligo di “esternalizzazione” (i.e., l’obbligo a carico dei titolari di concessioni affidate senza procedure di gara, di esternalizzare tutta l’attività oggetto della concessione mediante appalti a terzi per l’80% e l’assegnazione del restante 20% a società in house, o comunque controllate o collegate).
Orbene, nell’ambito del giudizio amministrativo promosso da un gestore di servizio pubblico contro le Linee Guida dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 11/2019, approvate con Delibera del 26 giugno 2019 n. 570, aventi ad oggetto “Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’articolo 177, comma 1, del codice, da parte dei soggetti pubblici o privati titolari di concessioni di lavori, servizi pubblici o forniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea”, il Consiglio di Stato, accogliendo la richiesta del ricorrente, aveva sollevato la questione alla Corte costituzionale, al fine di valutare la legittimità costituzionale dell’articolo 177, Codice Appalti, con riferimento agli articoli 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2, Costituzione.
Nello specifico, il Magistrato di appello riteneva rilevante e non manifestamente infondata l’eccezione avanzata dal ricorrente in merito all’illegittimità costituzionale dell’articolo 177, Codice Appalti, in quanto, sebbene volto a dare piena attuazione al principio di libera concorrenza (nel tentativo di sanare il vulnus di originari affidamenti di concessioni senza procedure ad evidenza pubblica), l’obbligo di esternalizzazione in commento si sostanzierebbe in una sorta di “dismissione totalitaria” delle concessioni, traducendosi in un impedimento assoluto a proseguire l’attività economica privata.
Tanto premesso, la Corte costituzionale ha ritenuto che “la previsione dell’obbligo a carico dei titolari di concessioni già in essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure a evidenza pubblica, di affidare completamente all’esterno l’attività oggetto di concessione – mediante appalto a terzi dell’80 per cento dei contratti inerenti alla concessione stessa e mediante assegnazione a società in house o comunque controllate o collegate del restante 20 per cento – costituisca una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, in quanto tale lesiva della libertà di iniziativa economica, con la conseguenza dell’illegittimità costituzionale dell’art. 177, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 1, comma 1, lettera iii), della legge n. 11 del 2016, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 41, primo comma, Cost.”.
Secondo la Consulta, l’irragionevolezza dell’obbligo di esternalizzazione disciplinato dall’articolo 177, Codice Appalti, si evince da plurimi indici quali:
- la notevole estensione dell’oggetto dell’obbligo, che giunge a snaturare l’imprenditore concessionario, che assumerebbe così il ruolo di stazione appaltante preposta all’affidamento di commesse all’esterno;
- la mancata differenziazione o graduazione dell’obbligo in ragione di elementi rilevanti come le dimensioni della concessione, le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l’epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto ed il suo valore economico.
Alla luce delle considerazioni sopra riportate, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 1, comma 1, lett. iii), Legge 28 gennaio 2016, n. 11 (cd. Legge delega per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE) e dell’articolo 177, commi 1, 2 e 3, Codice Appalti, che non trovavano alcun fondamento nella richiamata normativa europea.
In conclusione, la Sentenza restituisce al concessionario la libertà di esercitare autonomamente le attività necessarie per il perseguimento della sua attività di impresa, senza operare quale mera stazione appaltante, costretta – fino a ieri – ad esternalizzare anche attività tipicamente interne, mettendo a rischio la continuità del servizio proprio durante la predetta fase di esternalizzazione, ormai abrogata su disposizione del Giudice delle Leggi.
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