Fideiussioni omnibus: la Cassazione si pronuncia a Sezioni Unite

A cura di Cristian Sgaramella, Raffaele Gentile, Corrado Pisacane e Valeria Saponaro

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, il 30 dicembre 2021, ha pronunciato la sentenza n. 41994 con la quale ha risolto il contrasto giurisprudenziale formatosi relativamente alla questione delle fidejussioni redatte secondo lo schema ABI, già giudicato contrario alle regole della concorrenza antitrust, in quanto frutto di un’intesa restrittiva. Con la tanto attesa pronuncia, gli Ermellini hanno affermato il principio di diritto per il quale le clausole conformi con il contratto tipo sono parzialmente nulle, restando pertanto in essere e valido il contratto di fidejussione.

Procediamo con un breve excursus dei fatti addotti, prima di dar cenno alla predetta sentenza delle Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione.

Come noto, nel marzo 2003, l’Associazione Bancaria Italiana (di seguito, “ABI”), presentava a Banca d’Italia lo schema relativo al contenuto tipico del contratto di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, composto da tredici articoli. Detti articoli disciplinavano rispettivamente: l’oggetto della garanzia (art. 1), gli obblighi del fideiussore (artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8 e 10), gli obblighi e le facoltà della banca (artt. 5, 9, 11 e 12), ed infine, le clausole ritenute non applicabili alla fideiussione prestata da un soggetto che rivesta la qualità di consumatore ai sensi dell’art. 1469-bis, comma secondo, cod. civ. a favore di un soggetto che presenti la medesima qualità (art. 13).

Il succitato schema, caratterizzato dalla c.d. clausola omnibus, prevedeva che il fideiussore avrebbe garantito il debitore per tutte le obbligazioni assunte con un istituto di credito al momento della sottoscrizione, nonché per ogni altra obbligazione che ne potesse derivare, direttamente ed indirettamente, in costanza dei rapporti intercorrenti con la banca.

Nel novembre del 2003, la Banca d’Italia, all’epoca autorità garante della concorrenza tra gli istituti di credito, avviò un’istruttoria condotta al fine di accertare che lo schema contrattuale proposto dall’ABI potesse configurare un’intesa restrittiva della concorrenza. A tal fine, venne interpellata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito, “AGCM”), la quale evidenziò come la disciplina della fidejussione omnibus (di cui al predetto schema) presentasse clausole idonee a restringere la concorrenza; in particolare, in riferimento ai nn. 2, 6 e 8, ovvero le cosiddette clausole “di riviviscenza”, “di rinuncia ai termini ex art. 1957 cod. civ.” e “di sopravvivenza”. Precisando che “in definitiva, la valutazione concorrenziale dello schema in esame non riposa, come ripetutamente sostenuto dall’ABI, sulla constatazione della sua difformità dal regime civilistico, profilo questo irrilevante dal punto di vista antitrust, quanto piuttosto, va ribadito, sulla previsione uniforme da parte dell’associazione di categoria di una disciplina di dettaglio che aggrava la posizione del fideiussore, incidendo sulla caratterizzazione dell’offerta bancaria” (punto 36 del parere), concludendo che “(…) lo schema negoziale in esame (il contratto di fideiussione omnibus, ndr.), presenti clausole idonee a restringere la concorrenza, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge n. 287/90» (punto n. 50 del parere).

Con il provvedimento n. 55/2005, la Banca d’Italia dichiarava pertanto nulle le predette clausole che costituivano pedissequa applicazione dello schema ABI, facendo salve tutte le altre.

La casistica giudiziaria, negli ultimi anni, ha registrato numerose controversie finalizzate all’ottenimento della tutela reale da parte dei fideiussori proprio per effetto delle suddette determinazioni amministrative.

Sul punto, la Giurisprudenza sia di merito che di legittimità non ha espresso un parere univoco: di fatti, si sono susseguiti diversi e numerosi orientamenti sul destino delle fideiussioni contenenti clausole conformi allo schema ABI. Un primo orientamento ha sostenuto che la fidejussione prestata in conformità allo schema posto dall’ABI non implicasse la nullità in sé delle fideiussioni stesse. Diversamente, altro e condiviso orientamento, restava incline a considerare nulle, a determinate condizioni, le garanzie conformi allo schema controverso; distinguendo, inoltre, tra chi ha sostenuto la nullità totale e chi, con meno rigidità, l’eventuale nullità parziale.

Un primo orientamento ha affrontato lo specifico tema delle tutele azionabili dal privato escludendone in radice la legittimazione del consumatore a proporre qualsiasi forma di azione in ragione della competenza attribuita esclusivamente alla Corte d’Appello in un unico grado di giudizio di merito, non prevedendo la legittimazione attiva dei consumatori finali (Cass. n. 17475/2002). Successivamente, la Suprema Corte, con una seconda pronuncia, ha esteso la legittimazione anche ai privati, non imprenditori, tuttavia, riconoscendogli la sola azione risarcitoria a scapito di quella reale (Cass. n. 9384/2003). Dirimente in materia è stata la sentenza n. 2207 della Corte a Sezioni Unite del 4.02.2005, in forza della quale è stata ammessala domanda relativa al risarcimento del danno, che l’azione di nullità. Da ultimo, l’orientamento della Corte con la sentenza n. 2404/2019 è stato quello di ritenere applicabile una pronuncia di nullità parziale delle sole clausole derivanti dalle intese illecite.

Le soluzioni giuridiche, non sempre omogenee, hanno contribuito a creare la situazione descritta nell’ordinanza interlocutoria n. 11486 del 30.04.2021 “laddove si descrive la situazione di confusione giurisprudenziale e si afferma “non vi è poi accordo in ordine all’individuazione del tipo di nullità, essendo state prospettate, oltre alle già menzionate nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, una nullità per illiceità dell’oggetto (limitata al vantaggio che l’impresa ha tratto dalla stipulazione del contratto a valle) , una nullità derivata (riconducibile a quella dell’intesa a monte, in virtù del collegamento funzionale esistente con il contratto a valle) o una nullità di protezione (prevista a tutela del soggetto danneggiato dall’intesa, e quindi deducibile esclusivamente da quest’ultimo). Discussa è altresì la configurabilità di una nullità parziale, come quella ravvisata nel caso in esame dalla sentenza impugnata, e ciò in ragione della diversità delle parti del contratto a valle, rispetto a quelle dell’intesa a monte, e della conseguente difficoltà di stabilire se le prime avrebbero ugualmente prestato il proprio consenso, in mancanza delle clausole riproduttive del contenuto dell’intesa: indagine, questa, che nel caso della fideiussione bancaria potrebbe risultare peraltro superflua , ove si consideri che, nonostante l’espunzione delle predette clausole, la banca può avere interesse a conservare la garanzia, non essendo certo che il debitore sia in grado di offrirne altre in sostituzione”.

Non sono state di certo dirimenti le pronunce della Corte Suprema susseguitesi sul tema, che hanno pertanto reso necessario la rimessione della questione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite civili”. In particolare, le questioni attenzionate erano le seguenti: “i) se la coincidenza totale o parziale con le predette condizioni giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno, ii) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere, iii) se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione, e iv) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto d’interessi derivante dal contratto” (cfr. Cass., 30 aprile 2021, n. 11486).

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza in commento, ha espresso il principio di diritto secondo il quale i “contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.

L’assunto della Corte di Cassazione, sulla scorta anche di quanto affermato dalle Sezioni Semplici, implicherebbe che la violazione della “normativa nazionale ed eurounitaria antitrust” sia riscontrabile ogni qualvolta che, tra atto a monte e contratto a valle, sussista un nesso funzionale tale da produrre un effetto anticoncorrenziale. In particolare, quando il contratto a valle è interamente o parzialmente riproduttivo dell’“intesa” a monte, dichiarata nulla da AGCM, costituisca lo strumento di attuazione dell’intesa anticoncorrenziale.

Pertanto, seppur nello schema di fidejussione proposto siano state riprodotte le clausole considerate limitative della concorrenza, tuttavia, sulla scorta del principio di conservazione degli atti negoziali, regola generale dell’ordinamento italiano, la Corte ha optato per la nullità parziale delle sole clausole riproduttive dello schema illecito. A meno che, non risulti comprovata agli atti una diversa volontà delle parti, ovvero che queste ultime non avrebbero concluso il contratto in assenza delle già menzionate condizioni, come previsto ai sensi dell’art. 1419, comma primo, cod. civ

Posto quanto sopra, tutte le altre clausole del contratto di fideiussione – “in quanto finalizzate, attraverso l’obbligazione di garanzia assunta dal fideiussore, ad agevolare l’accesso al credito bancario – sono immuni da rilievi di invalidità, come ha stabilito la Banca d’Italia, che ha espressamente fatte salve tutte le altre clausole dell’intesa ABI” (v. provvedimento n. 55/2005, già sopra menzionato).

In ragione delle conclusioni assunte dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, uno degli aspetti critici che potrebbe investire il contenzioso bancario riguarderebbe la riviviscenza delle condizioni di cui all’art. 1957 cod. civ., e in particolare:

  • entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, il creditore abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate;
  • entro due mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, laddove la garanzia assunta dal fideiussore sia espressamente limitata allo stesso termine dell’obbligazione principale;

con conseguente soccombenza degli Istituti di Credito nei giudizi istaurati contro i fideiussori, nei confronti dei quali non siano state rispettate le condizioni del dettato normativo.

Let’s Talk

Per una discussione più approfondita ti preghiamo di contattare:

Cristian Sgaramella

PwC TLS Avvocati e Commercialisti

Partner