A cura di Carlo Romano, Flaminia Ferrucci e Rubina Fagioli
La Legge 31 agosto 2022, n. 130 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 1° settembre u.s., recante “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari”, contiene una previsione normativa (articolo 5) che mira a smaltire il carico delle controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione, attraverso la definizione delle cause di valore più contenuto in cui il contribuente sia risultato vincitore (anche parzialmente) in almeno uno dei due giudizi di merito.
Più precisamente e in sintesi, il suddetto articolo 5 prevede che il contribuente può definire i procedimenti pendenti in cui sia risultato vittorioso:
- in entrambi i gradi del giudizio di merito, definendo controversie il cui valore non superi i 100.000 € previo pagamento del 5% del medesimo valore,
- in uno dei due gradi di merito, anche solo in parte, definendo controversie di valore non superiore a 50.000 € previo pagamento del 20% del valore della causa.
Il contribuente non può quindi definire le controversie tributarie in cui sia risultato soccombente in entrambi i gradi di merito oltre che le controversie concernenti, anche solo in parte:
- le risorse proprie tradizionali dell’Unione Europea previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione (UE, Euratom) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020,
- l’imposta sul valore aggiunto riscosso all’importazione,
- le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato.
Si rileva una criticità in relazione alla individuazione di quali siano le cause pendenti suscettibili di essere definite. Infatti, mentre ai sensi del comma 1 dell’articolo 5 si considera pendente il giudizio di cassazione il cui ricorso sia stato notificato alla data del 15 luglio 2022, il successivo comma 4 sancisce che “per controversie tributarie pendenti si intendono quelle per le quali il ricorso per cassazione è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore della presente legge“. Pertanto, ai sensi del comma 4, sarebbero definibili i giudizi il cui ricorso sarà notificato entro il 16 settembre p.v.
Per quanto concerne poi il valore della lite, il comma 1 dell’articolo 5 rinvia all’articolo 16, comma 3, della Legge 289/2002, secondo cui detto valore corrisponde all’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni collegate al tributo, ancorché comminate con separato atto, senza considerare gli eventuali abbattimenti ottenuti nei gradi di merito rispetto alla pretesa impositiva iniziale. Nel caso di giudizi relativi a sole sanzioni, occorrerà far riferimento ad esse per individuare il valore della causa.
La definizione si perfeziona con la presentazione della relativa domanda ad opera del contribuente entro 120 giorni dal 16 settembre e con il pagamento degli importi dovuti. Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda. Infatti, ai fini della definizione si tiene conto di eventuali versamenti già effettuati in pendenza di giudizio, senza la possibilità di ottenere la restituzione delle somme già versate, ancorché eccedenti rispetto a quanto dovuto per la definizione. È il caso, ad esempio, del contribuente che, essendo risultato soccombente nel secondo grado di giudizio, ha dovuto corrispondere tutte le somme richieste dall’Erario e si trova quindi ad avere già versato più di quanto dovuto, in astratto, per la definizione (20%).
Si ritiene che, ai fini della definizione delle controversie tributarie, non sia rilevante la natura dell’atto impugnato in primo grado, che potrà quindi essere un avviso di accertamento e/o di rettifica, un avviso di liquidazione o una cartella di pagamento.
L’individuazione delle modalità di attuazione della procedura è in ogni caso demandata a successivi provvedimenti di competenza del direttore dell’Agenzia delle Entrate.
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