L’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti sulla registrazione ai fini IVA tramite la nomina del rappresentante fiscale

A cura di Davide Accorsi, Amélie Mammone e Cristina Mosca

Con la Risposta ad interpello n. 442/2022 dello scorso 2 settembre 2022, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata con riferimento ad un caso sottoposto da un contribuente in merito alle modalità di nomina del rappresentante fiscale di cui all’art. 1, comma 4 del d.P.R. n. 441/1997.

Nel caso di specie, l’istante ha chiesto all’Agenzia delle Entrate un chiarimento sul significato da attribuire a una delle modalità di nomina del rappresentante fiscale di cui all’art. 1, comma 4 del d.P.R. n. 441/1997. Nello specifico, la questione si riferiva a cosa si intende per “lettera annotata in apposito registro presso l’ufficio IVA competente”.

Innanzitutto, l’amministrazione finanziaria ricorda che un soggetto passivo non residente e senza stabile organizzazione in Italia, che effettua operazioni rilevanti ai fini IVA nel  territorio dello Stato, può registrarsi ai fini IVA nel nostro Paese direttamente (modalità disponibile esclusivamente per i soggetti residenti nell’Unione europea e in Gran Bretagna, come precisato anche nel documento di prassi in commento) oppure con la nomina di un rappresentante fiscale (senza mutare lo status di soggetto non residente).

Con riferimento alla seconda opzione, l’Agenzia delle Entrate elenca i mezzi ufficiali attraverso i quali può avvenire la nomina del rappresentante fiscale. Nello specifico, ai sensi dell’art. 1, comma 4 del d.P.R. n. 441/1997 (che ha sostituito l’art. 53 del d.P.R. n. 633/1972) “il rapporto di rappresentanza risulta da atto pubblico, da scrittura privata registrata, da lettera annotata, in data anteriore a quella in cui è avvenuto il passaggio dei beni, in apposito registro presso l’ufficio IVA competente in relazione al domicilio fiscale del rappresentante o del rappresentato, ovvero da comunicazione effettuata all’ufficio IVA con le modalità previste dall’articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, sempre che di data anteriore al passaggio dei beni. […]”. Ad essi si aggiungono l’atto autenticato da un notaio estero aderente alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 e munito di timbro “Apostille”, oppure legalizzato dal console generale dell’Italia presso lo stato estero (Risoluzione n. 550570 del 26 gennaio 1990).

Chiariti i mezzi ufficiali attraverso i quali può avvenire la nomina del rappresentante fiscale, l’Agenzia delle Entrate chiarisce il significato da attribuire alla lettera di nomina sopra citata. Essa può essere redatta in carta libera, deve essere presentata all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate contestualmente alla richiesta di attribuzione del numero di partita IVA e deve riportare i dati identificativi della società estera rappresentata e del soggetto passivo d’imposta italiano rappresentante. Inoltre, dopo essersi identificati, il soggetto con poteri di firma per conto della società estera e il soggetto che eventualmente ha poteri di firma per conto del rappresentante, devono sottoscrivere tale lettera davanti al funzionario dell’Ufficio, previa prova, da parte della società estera, dei poteri del firmatario. Dopo avere esperito i controlli, l’Ufficio provvede all’annotazione della lettera di nomina contestualmente alla sua ricezione e rilascia all’interessato idonea documentazione attestante l’avvenuta annotazione nel registro Modello VI.

In conclusione, l’Agenzia delle Entrate sottolinea che in assenza di uno degli atti ufficiali sopra richiamati si concretizza un’ipotesi di mancata nomina del rappresentante fiscale e non la tardiva comunicazione all’Ufficio dell’avvenuta nomina di quest’ultimo.

Tuttavia, tale posizione non sembra allinearsi con la giurisprudenza di legittimità prevalente che ha affermato il principio secondo cui “la nomina, ex art. 17, del rappresentante fiscale in Italia ai fini IVA di un soggetto non residente può risultare, oltre che dalle forme previste dall’art. 53, dello stesso d.P.R., anche dalla comunicazione all’ufficio fiscale ai sensi dell’articolo 35 (dichiarazione di inizio di attività)” (sentenza Corte Cass. n. 5400/2015 che richiama le precedenti sentenze n. 5558/2005 e n. 11696/2007).

Infatti, la Suprema Corte disattende la tesi secondo cui il rappresentante fiscale deve giustificare il mandato con atto pubblico o scrittura privata registrata, derivando invece dall’art. 1, comma 4, del d.P.R. n. 441/1997, la legittimazione ad operare sulla base della mera comunicazione all’Ufficio fiscale relativa all’inizio del rapporto di rappresentanza fiscale (sentenza Cass. n. 23754/2013 e ordinanza Cass. n. 12464/2019). “Pertanto […] va superato il rigido formalismo documentale, propugnato dal fisco e dai giudici di merito, siccome disancorato dalla lettera e dalla ratio della indicata disposizione, e va affermata la sufficienza della dichiarazione di inizio/variazione di attività (mod. AA7/6)” (sentenza Cass. n. 5400/2015). Ciò, anche “in considerazione del principio, affermato da costante giurisprudenza della Corte (es. n. 11455 del 2001), della rilevanza dei comportamenti concludenti dei contribuenti ai fini dell’applicazione di regimi speciali, comportamenti che non rendono necessario l’adempimento di specifiche formalità (conf. n. 20421 del 2014)”(si veda sempre, ex multis, la cit. sentenza Cass. n. 5400/2015)”.

Infine, l’Amministrazione finanziaria risponde agli altri due quesiti posti dalla società istante chiarendo, tra l’altro, che:

  • un soggetto passivo (residente in Italia) può assumere il ruolo di rappresentante fiscale con riferimento a più soggetti potendo possedere tanti numeri di partita IVA quanti sono i soggetti rappresentati e, a tal fine, deve tenere distinta ciascuna posizione IVA (compresa la propria) tramite la tenuta della contabilità separata;
  • nella dichiarazione di inizio attività deve essere barrato il codice “1” “dichiarazione di inizio attività con attribuzione del codice fiscale” che deve essere attribuito al soggetto e che deve essere evidentemente diverso da quello proprio del rappresentante fiscale. Tale codice fiscale, coincidente con il numero di partita IVA, resterà invariato anche in caso di variazione del domicilio fiscale, fino al momento di cessazione dell’attività.

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