A cura di Francesca Tironi e Giulia Spalazzi
La Corte di Cassazione è recentemente tornata ad esprimersi sul tema della illegittima interposizione di manodopera nell’ambito di un appalto tramite l’ordinanza n. 4828 del 16 febbraio 2023, fornendo chiarimenti circa la necessità di escludere la genuinità del contratto di appalto in tutti quei casi in cui l’impresa appaltatrice sia effettivamente priva di organizzazione di impresa, ed i lavoratori della stessa, seppur formalmente assunti, siano concretamente sottoposti alla direzione della società committente dell’appalto.
La vertenza originava dalla doglianza di alcuni lavoratori addetti per anni al medesimo appalto, che ricorrevano giudizialmente nel tentativo di vedersi dichiarata la sussistenza di una interposizione fittizia di manodopera e la conseguente costituzione del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’impresa committente. Detti lavoratori deducevano come, nel corso dell’esecuzione dell’appalto in questione, i controlli effettuati dall’impresa committente si erano concretizzati come eccedenti il normale potere di coordinamento che in tali contesti è previsto in capo all’azienda committente, andando a concretizzarsi in una vera e propria gestione della prestazione lavorativa dei dipendenti dell’impresa appaltatrice.
Nel risolvere il caso sottoposto al loro giudizio, gli Ermellini hanno preliminarmente ricordato come, nel caso di appalto concernente attività da esplicarsi all’interno dell’azienda appaltante, viga il divieto di utilizzo dell’appalto ogni qual volta l’appaltatore metta a disposizione del committente unicamente la prestazione lavorativa del propri dipendenti, senza essere dotato di alcuna organizzazione autonoma e senza l’assunzione della gestione dell’esecuzione e della responsabilità del risultato dell’opera appaltata, realizzando così una illecita somministrazione di manodopera.
Esaurita detta premessa, la Corte si è dedicata al chiarimento di quali siano considerati gli indici rivelatori di una tale situazione, che pertanto saranno quelli di maggiore interesse per gli operatori del settore: tali indici sarebbero ravvisabili nelle ipotesi in cui l’appaltatore si occupa dei soli compiti di gestione amministrativa del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, quali a titolo esemplificativo i pagamenti delle retribuzioni, la pianificazione delle ferie e l’assicurazione della continuità della prestazione lavorativa oggetto del contratto di appalto. Tutto ciò, come chiarito dalla Corte Suprema, non è sufficiente a garantire il corretto rispetto della normativa sul punto, non potendosi prescindere dal controllo della presenza, da parte del soggetto appaltante, di una reale organizzazione della prestazione oggetto dell’appalto stesso, che deve necessariamente essere finalizzata ad un risultato produttivo autonomo e non alla mera gestione amministrativa della forza lavoro addetta all’appalto.
Da qui il giudizio della Corte, che ha chiarito come, al fine di valutare la genuinità di un appalto di manodopera, sia indispensabile fare leva sul requisito dell’autonomia di gestione e organizzazione: se questa difetta, l’appalto non può che essere collocato tra quelli vietati dal nostro ordinamento, in quanto realizzazione di una illecita somministrazione di manodopera.
La chiosa finale dei Giudici di legittimità ha inoltre puntualizzato come a far propendere per l’esclusione della genuinità dell’appalto e per la riferibilità dei rapporti di lavoro direttamente in capo alla società committente, è altresì l’esercizio del potere direttivo e di controllo sui lavoratori direttamente da parte della committente stessa, aspetto questo che nel caso di specie risultava assente.
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