Revirement della Cassazione: l’addizionale del 10% sui compensi erogati sotto forma di bonus e stock options ai dirigenti del settore finanziario si applica anche nei confronti di soggetti non direttamente facenti parte del settore di riferimento

A cura di F. Tironi, M. Scaglioni, A. Ferrari e L. Rguibi

Suscita non poche perplessità il recente revirement della Cassazione in merito all’ambito di applicazione del particolare regime fiscale previsto dall’art. 33 del decreto-legge n. 78/2010, nella misura in cui ha affermato “la generale riferibilità dell’addizionale “al settore finanziario inteso nella sua globalità e complessità, sì da ricomprendere anche soggetti non necessariamente sottoposti a vigilanza e/o che svolgano attività rivolta al pubblico, stante la ragione socio-economica di un intervento diretto a comprendere tutti quegli attori di compagini che, essendo attive sulla scena finanziaria, sono in grado, direttamente o indirettamente, di indurne torsioni pregiudizievoli per effetto di abnormi incentivi retributivi”.

In materia, va precisato come la disciplina relativa all’addizionale (del 10%) sui compensi erogati sotto forma di bonus e stock options ai dirigenti del settore finanziario è stata introdotta nel 2010 per rispondere agli effetti ritenuti distorsivi, prodotti sul sistema finanziario e sull’economia mondiale, dal riconoscimento di bonus e stock options collegati agli andamenti del mercato ai manager (i.e. dirigenti e amministratori) di banche ed istituti finanziari, e – sebbene inizialmente applicabile sui compensi, a titolo di bonus e stock options, eccedenti il triplo della parte fissa della retribuzione – è stata successivamente modificata con l’aggiunta, all’art. 33, del comma 2-bis (prevedendo che l’addizionale si applicasse “sull’ammontare che eccede l’importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione”). 

Peraltro, l’imposta aggiuntiva viene calcolata sulla differenza secca tra la parte fissa della retribuzione e gli elementi variabili quali bonus e stock options erogati in riferimento ad ogni singolo anno d’imposta.

Ora, rispetto all’ambito di applicazione soggettivo della norma, l’Agenzia delle entrate ebbe modo di spiegare (nella circolare n. 4/E del 2011) che nell’ambito del settore finanziario destinatario della particolare normativa devono essere ricondotte “le banche, nonché, ad esempio, le società di gestione (SGR), le società di intermediazione mobiliare (SIM), gli intermediari finanziari, gli istituti che svolgono attività di emissione di moneta elettronica, le società esercenti le attività finanziarie indicate nell’art. 59, comma 1, lett. b) del Testo unico bancario, le holding che assumono e/o gestiscono partecipazioni in società finanziarie, creditizie o industriali”.

La Corte costituzionale, chiamata a valutare la legittimità dell’addizionale alla luce dei principi di uguaglianza e capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost., nella sentenza n. 201 del 2014 – pur non soffermandosi sulla definizione di “settore finanziario” – spiegò che “non è ingiustificata la limitazione al solo settore finanziario della platea dei soggetti passivi sottoposti al prelievo addizionale”: in senso conforme a tale impostazione, nell’individuare il perimetro del “settore finanziario” all’interno del quale si collocano i soggetti suscettibili di essere colpiti dall’addizionale, la Cassazione espressasi con le ordinanze n. 22692 del 2020 e n. 3913 del 2022, che escluse l’applicabilità dell’addizionale nei confronti dei dirigenti di una holding industriale.

Venendo, infine, al revirement di cui si tratta, con sentenze n. 16875 del 13 giugno 2023 e n. 18549 del 30 giugno 2023, la Cassazione inverte la rotta (nei termini di cui sopra), sollevando – a distanza di 13 anni dall’emanazione della norma contestata – un conflitto di orientamenti verosimilmente destinato a finire davanti alle Sezioni unite (se non risolto diversamente, e più velocemente, con una risposta ad interrogazione parlamentare).

Ebbene, l’affermarsi del detto contrasto giurisprudenziale è destinato a creare notevoli problemi applicativi in considerazione i) dell’indeterminatezza dei requisiti soggettivi richiesti ai fini dell’applicazione dell’addizionale; e ii) della circostanza per cui il nuovo orientamento potrebbe dare origine ad un contenzioso di recupero dell’A.d.E. rispetto a pagamenti già effettuati in vigenza della normativa e gestiti in conformità all’interpretazione (restrittiva) che sino ad oggi era risultata essere del tutto prevalente nella giurisprudenza.

Si ricorda inoltre che detta imposta aggiuntiva sottostà alle ordinarie norme di sostituzione alla fonte (cfr. DPR 600/73 art. 23 e seguenti), pertanto saranno in primis i datori di lavoro, nel ruolo imperativo di sostituti d’imposta, a dover discernere  la presenza di questo ulteriore obbligo fiscale; naturalmente ciò andrà fatto informando il sostituito (dirigente o amministratore) al quale verrebbe applicata la maggior imposta alla fonte in busta paga nel mese di erogazione del variabile o, al più, in sede di conguaglio fiscale.

Dette trattenute saranno poi regolarmente certificate al sostituito nella Certificazione Unica del periodo di competenza.

La sostituzione alla fonte operata dal sostituto d’imposta, in ogni caso, non fa venir meno la facoltà di ricorso da parte del sostituito che dovesse ritenere illegittima la maggior trattenuta fiscale subita.


Al di là dell’ambito soggettivo di applicazione della norma (che resta incerto, in considerazione del principio di diritto adottato, che, per vero, lascia perplessi laddove la Cassazione giudica corretto il richiamo ad una nozione “socio-economica” di settore finanziario in un ambito come quello impositivo, che ha invece necessità di formulazioni chiare ed inequivocabili, non essendo, ad esempio, consentito il ricorso all’analogia), non può non considerarsi l’alto rischio di contenzioso in materia, anche tenuto conto delle “poste retributive” che possono essere ricomprese nell’ambito dell’art. 33 citato.

Invero, come spiegato dall’Agenzia delle Entrate (nella risposta all’interpello 11/2022), “attesa la formulazione generica della norma rientrano tra gli emolumenti premiali erogati sotto forma di stock option tutte le forme di incentivazione realizzate con azioni”: in tal senso, “per quanto riguarda le componenti reddituali su cui applicare l’addizionale, tenuto conto dell’evoluzione delle politiche retributive che si sono consolidate nel corso degli anni, nel concetto di bonus di cui all’articolo 33 in esame, rientrano le remunerazioni la cui erogazione è subordinata al verificarsi di determinate condizioni che possono riguardare sia il raggiungimento di determinati obiettivi sia il rispetto di determinati parametri”, e “…devono essere ricompresi anche quelli corrisposti per la conclusione di patti di non concorrenza di cui all’art. 2125 del codice civile e di patti per il prolungamento del preavviso”.

Insomma, se da un lato il recente revirement giurisprudenziale pone ancora più incertezza interpretativa rispetto all’ambito soggettivo di applicazione della norma citata che si estenderebbe ben al di là del settore finanziario tout court, è altrettanto evidente che, anche tenuto conto delle politiche retributive probabilmente adottate dalle società in vigenza del precedente orientamento, il rischio di contenzioso con l’A.d.E. relativamente al regime fiscale applicabile risulta, allo stato e salvo dietrofront giurisprudenziali, elevato.

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